Il Regno Unito sceglie la Brexit: guai per l’area pelle?

Tanti oneri e pochi onori. L’uscita del Regno Unito dalla Comunità Europea, sancita dal referendum del 23 giugno, crea più di un grattacapo all’area pelle italiana. Le prime reazioni alla Brexit sono critiche. Il premier David Cameron annuncia l’intenzione di rassegnare le dimissioni entro ottobre. Le Borse hanno dato immediato riscontro negativo: Francoforte apre a -9,94%, Parigi a -7%, Londra a -8% e Milano a -11%. La valutazione della sterlina è scesa al valore più basso dal 1985 a oggi. Si attendono ripercussioni per il fashion system britannico, che nel 2014 ha partecipato per 38 miliardi di euro all’economia nazionale, e per i brand del lusso quotati in Borsa. Le fluttuazioni monetarie complicano i piani delle aziende italiane, che in Gran Bretagna vendono più di quanto comprano e che sono penalizzate dal rafforzamento dell’euro. Le concerie possono trarre qualche vantaggio nell’acquisto di pelli grezze e semilavorate, ma incontreranno un ostacolo in più nella vendita del materiale finito (anche se il 2015, dopo un biennio positivo, l’export di pelli nel Regno Unito si è contratto dell’11% in volume e del 7% in valore). Non va meglio ad altri comparti del manifatturiero. Per le calzature, che nel 2015 hanno visto negli UK il quinto mercato di sbocco (con l’aumento del 5% delle esportazioni di prodotti in pelle) con livelli di import marginali, e per la pelletteria, che trova in Londra addirittura il sesto mercato in valore e il terzo in volume (nell’ultimo anno è cresciuta dell’1% l’esportazione di articoli in pelle) le condizioni del mercato sono destinate a cambiare, non in meglio. (rp)

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