LVMH smentisce PETA sui coccodrilli: “Quelli non sono i nostri fornitori”

Verrebbe da dire missione “già” compiuta, se non fosse che la missione non è mai neanche esistita. È da dicembre che PETA, l’aggressiva sigla animalista che spesso e volentieri concentra i propri sforzi contro l’industria della moda, ha messo nel mirino LVMH. Prima ha pubblicato una video-inchiesta sui metodi illegali con cui due aziende vietnamite (presunti supplier del marchio LV) allevano e macellano rettili, poi annunciato l’acquisto di un’azione del gruppo francese del lusso per combattere dall’interno (cioè dall’assemblea dei soci) l’impiego della pelle di coccodrillo nelle collezioni LVMH. La risposta della holding della famiglia Arnault non ha tardato ad arrivare. Non si tratta di una semplice presa di distanza da PETA, per la serie “non ci faremo condizionare”. È anche una precisazione che smonta l’accusa: “Abbiamo interrotto i rapporti con le due aziende già nel 2014 – spiega una fonte aziendale a Reuters –. Ora ci riforniamo da altri supplier asiatici”. Il caso, insomma, si sgonfia velocemente. Così come sono durati poco quelli sulla pelle di struzzo per le borse Hermès e Prada, entrambi concluse con un approdo simbolico (e basta) di PETA nel pacchetto degli stakeholder. Più che cambiare l’industria della moda, per gli animalisti, probabilmente, il vero obiettivo è finire sui giornali. E c’è da dire che questo lo raggiungono. (rp)

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