L’export del Bello e Ben Fatto in tre anni può crescere del 31%: Governo e Confindustria studiano la via del successo del made in Italy

Innalzare la quota di export sul PIL ai livelli tedeschi, dal 30% ad almeno il 50%. Lavorare sulla competitività dell’offerta portando le nostre PMI ad agganciare la ripresa internazionale. Guardare con attenzione agli Stati Uniti “che rappresentano una grande sfida e dei quali stiamo intaccando solo la superficie”. Con le parole di Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo Economico, si è aperta a Milano la nuova edizione dell’evento Confindustria Esportare la Dolce Vita. Oggetto: la potenzialità del made in Italy, ridefinito Bello e Ben Fatto, nei mercati avanzati dove, segnala lo studio Confindustria /Prometeia, “allentato il morso della crisi, si torna a spendere”. In generale, la previsione al 2020 indica in 70 miliardi di euro il valore dell’export di BBF italiani sui mercati maturi, quasi 12 in più rispetto ai 59 del 2016, per una crescita del 20%. Ma c’è uno scenario “più ambizioso in cui si ipotizza che i settori BBF italiani riescano ad aumentare le quote di mercato, guadagnando ulteriori 6,9 miliardi di euro, cosicché la crescita salirebbe al 31%”. Un trend che, tra i vari BBF presi in considerazione, premierà anche la calzatura, che “nei mercati avanzati varrà nel 2022 9 miliardi di euro, oltre 1,8 miliardi in più rispetto al 2016, con un incremento prossimo al 26% in sei anni”. Questa l’ipotesi più “conservativa”, perché “nello scenario più ambizioso, con crescita di quote di mercato, i produttori italiani guadagnerebbero ulteriori 739 milioni di maggiori vendite rispetto allo scenario base”. Prospettive simili anche per arredamento e abbigliamento/tessile a dimostrazione della necessità, dice Calenda, “di investire su quello che funziona”. Focus, poi, sugli Stati Uniti considerati una grandissima occasione, “completamente da esplorare perché la nostra quota di mercato è ancora ridotta”. La calzatura, per esempio, potrebbe arrivare a “superare gli 1,7 miliardi di euro dagli attuali 1,2. Oltre il 70% dell’import USA sarà accolto dagli Stati di New York e del New Jersey”.

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