Pelle e protezionismo.“Vogliamo scoraggiare l’export di grezzo”, dicono in Kenya, “Lo Stato ci aiuti”, gridano in Pakistan

In un momento in cui il protezionismo è tornato di stretta attualità, non sorprende che nel mondo della pelle qualcuno alzi ulteriormente l’asticella. In Kenya, per esempio, intendono “adottare misure legislative che scoraggino l’export di semilavorato” dice Issack Noor, responsabile della Kenya Leather Development Authority. “Vogliamo scoraggiare l’export – spiega Noor – perché impedisce alla manifattura keniana l’accesso al grezzo nonostante la nostra buona disponibilità”. Il solito alibi, giustificato dalla volontà di costruire un Leather Park nazionale investendo 164 milioni di dollari. Per ora, però, ne sono stati spesi 6 in studi di fattibilità. In Pakistan, invece, dove i profitti degli operatori della pelle sono incalo da lungo tempo, i conciatori chiedono a gran voce aiuti di Stato. Il presidente della Pakistan Tanners’ Association, Anjum Zafar, infatti, dopo aver annunciato che tra luglio 2016 e febbraio 2017 l’export conciario nazionale ha perso il 6%, ha chiesto al proprio Governo di attuare misure immediate per “affrontare questa allarmante tendenza”. Due, in particolare: un sussidio del 75% per permettere alle concerie di sostenere test qualitativi presso laboratori esteri, l’abbattimento delle tasse all’import di grezzo (4%). Nella foto, l’interno di una conceria in Kenya.

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