Negli USA è Retail Apocalypse: serrate, licenziamenti e una certa idea di shopping che non esiste più

Bebe, catena dedicata all’abbigliamento femminile, rinuncia a tutti i suoi 170 punti vendita per trasformarsi in un pure player dell’e-commerce. Sears nei primi sei mesi del 2017 ne ha già chiusi 150. J.C. Penney e Macy’s hanno un piano di riduzione dei costi molto simile: chiudere rispettivamente il 14% e il 15% dei propri store (ma alcuni analisti sospettano che la seconda possa dover rivedere all’insù le cifre). È la “Retail Apocalypse”, come l’hanno ribattezzata i media statunitensi. È la crisi del commercio fisico, buco nero che sta risucchiando, come illustra un’inchiesta di Business Insider, gli attori USA della distribuzione. Sono i numeri a spiegare i contorni del fenomeno: secondo dati della Casa Bianca citati da Business Insider, tra gennaio e maggio nel settore si sono persi 19.000 posti di lavoro, mentre nei prossimi mesi si attende la serrata di 3.500 negozi. Lo smottamento, deduce Credit Suisse, porterà nei prossimi 5 anni alla chiusura di una cifra di malls compresa tra i 220 e i 270, vale a dire il 25% dei centri commerciali presenti nel Paese. Business Insider offre anche una spiegazione del fenomeno. Il retail statunitense  non soffre tanto la crescita del canale online, quanto la concorrenza di Amazon, che monopolizza il web, offre servizi irreplicabili (come Prime) e diluisce l’identità del brand nel suo catalogo. E poi incide l’incapacità, soprattutto per il segmento medio, di intercettare la disaffezione dei Millennials per un certo tipo di shopping, disaffezione che si somma alla ricerca di una nuova identità stilistica. Il successo anche a Washington e dintorni di brand come Cos e & Other Stories sta lì a dimostrarlo.

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