Le griffe italiane sono in ordine, ma poco redditizie. Le francesi si indebitano, ma ci comprano. Servono 15 delle nostre per fare il fatturato di Dior

Il paradosso è tutto qui. Le imprese italiane della moda spiccano per liquidità e capitalizzazione. Tra il 2011 e il 2015 il tesoretto dei soldi messi da parte è cresciuto del 25% (5,5 miliardi di euro), mentre l’incidenza media del debito sul patrimonio è del 21%. I conti sono in ordine. La redditività, però, è bassa: vale circa la metà di quella dei gruppi francesi. E così per pareggiare il fatturato 2015 di Dior (nella foto, un’imagine della campagna promozionale) non bastano quelli delle prime 15 holding italiane: il confronto rimane 35 contro 30. Lo sostiene il rapporto R&S Mediobanca presentato all’opening day della Fashion Week milanese. La beffa, dicevamo, è che se i gruppi d’Oltralpe hanno un quadro debitorio alto è proprio perché si dedicano spesso a operazioni di acquisizioni. Col risultato che se da un lato già un terzo delle griffe italiane che superano i 100 milioni di fatturato sono di proprietà straniera, si profila un pacchetto di aziende sane (Max Mara e Geox, per fare due esempi) che possono rivelarsi prede interessanti per nuove operazioni di merger & fusion. Nel report ci sono anche dati positivi. Nella top 15 delle aziende dai maggiori fatturati (2015), solo 6 sono francesi, mentre 9 sono italiane: tra queste Prada (3,5 miliardi), Armani (2,6 miliardi) e OTB (1,5 miliardi).

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