“Appropriazione” o “apprezzamento” culturale? Il lusso s’interroga

Maasai che indossano la shuka

Appropriazione culturale o apprezzamento culturale? I casi denunciati che coinvolgono griffe della moda e del lusso cominciano a essere parecchi. E la questione sembra difficilmente risolvibile. Al punto che gli stessi stilisti hanno opinioni divergenti sul tema.

Alcuni casi
Quattro anni fa i Mixe (o Mije), comunità indigena messicana, si è lamentata del fatto che la designer francese Isabel Marant avesse inserito nella collezione una blusa somigliante al loro costume tradizionale. E prima di quanto accaduto di recente a Carolina Herrera e Louis Vuitton, il Messico aveva già protestato con Zara, Mango e Michael Kors.
Nel 2017 Karl Lagerfeld è stato accusato di essersi “appropriato” di un oggetto della cultura aborigena.
Un anno prima toccò a Valentino per gli abiti africani della collezione Africa-Inspired, e a Givenchy per la sua collezione Chola Victorian, che utilizzava parole e stili di comunità messicane.

Cosa dicono gli stilisti
“Quando ero alla scuola di moda abbiamo appreso che non c’era niente di vergognoso nel prendere ispirazione da altre culture. Dobbiamo stare attenti a non attaccare tutti per tutto” ha detto il direttore artistico di Berluti, Kris van Assche. Fashion United riporta una serie di interventi di designer, tra cui quello più tranchant è di Alejandro Gomez Palomo: “L’appropriazione culturale è qualcosa che dovremmo dimenticare”.

La shuka dei Maasai
Secondo il designer britannico Kim Jones (Dior Homme), “devi trattare tutti con molto rispetto”. Jones, che è cresciuto in Kenya e Tanzania, ha portato come esempio la shuka, la famosa veste a quadri rossa e blu del popolo Maasai (nella foto Shutterstock), mostrata in uno show maschile di Louis Vuitton nel 2012. La veste era stata prodotta in Scozia, suscitando la protesta di qualcuno (e finì che LV fece una donazione ai Maasai, dice Jones). Ma, a dire il vero la shuka è arrivata in Africa grazie ad alcuni commercianti scozzesi. Sempre i Maasai hanno ingaggiato schiere di avvocati per tutelarsi nei confronti di Calvin Klein, Ralph Lauren, Jaguar Land Rover e altre multinazionali che hanno utilizzato la loro iconografia.

Consapevolezza e sensibilità
Il designer newyorkese Thom Brown e ha affermato ad AFP che “tutti devono essere consapevoli e sensibili al mondo”, mentre per lo stilista danese Henrik Vibskov, “il mondo in cui viviamo si sta riducendo e l’unico modo in cui l’umanità può rispecchiare questo è incontrare altri popoli. Speriamo che questa generazione crei una nuova cultura”. (mv)

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