Editoriale

59 GUERRE

Ci dimentichiamo sempre la stessa cosa.

Ce la ricordiamo sempre nel momento peggiore.

In questo preciso istante, secondo gli analisti più accreditati, nel mondo sono in corso «non meno di 59» conflitti. Solo gli ultimi tre, però, hanno riacceso la luce sui tanti scenari bellici che punteggiano tragicamente il pianeta da anni. Tre guerre che hanno fatto saltare tutti i raffazzonati equilibri che stavamo cercando di ricostruire dopo la pandemia.

Ucraina, 2022.

Gaza, 2023.

Mar Rosso, 2023.

L’aggettivo “nuovo”, poi, è particolarmente impreciso, perché di “nuovo” questi conflitti hanno solo la drammatica escalation di violenza e il modo in cui tensioni mai sopite sono detonate trovato come detonare travolgendo tutto e tutti.

Noi ‐ a distanza, ma fino a un certo punto ‐ compresi.

Di “nuovo”, queste guerre, condividono il fatto di aver distrutto la nostra assuefatta abitudine al vivere in un mondo che sappiamo essere senza pace, illudendoci che lo sia per il solo fatto che le guerre sono spessissimo il problema di qualcun altro.

Non è mai stato così.

A maggior ragione, non è più così.

Oggi, ogni volta che un conflitto militare rialza la testa, tutto il mondo ‐ nella sua sempre più interconnessa complessità ‐ si inchioda e rischia di andare in crash. A cominciare dalle filiere produttive, che rappresentano un presidio di solidità per tutti i sistemi sociali; che dopo lo shock bellico iniziale riescono a trovare (di solito) contromisure per adattarsi all’emergenza, che, però, a ogni frenata si scoprono più fragili e meno resilienti.

Senza voler essere cinici, ma tristemente realisti, queste ultime tre crisi belliche (in varie misure correlate tra loro) difficilmente arriveranno a una conclusione in tempi brevi: semplicemente perché non finiranno mai. Torneranno, presto o tardi, in una dimensione di (altissima) tensione controllata che per il resto del mondo si tradurrà nel fingere di non ricordarsi che, nel pianeta, sono in corso «non meno di 59» conflitti.

 

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