Ascesa, discesa, ripresa: così la filiera cinese cambia strategia

Ascesa, discesa, ripresa: così la filiera cinese cambia strategia

A Riva del Garda, durante l’edizione di giugno di Expo Riva Schuh + Gardabags (14-17 giugno 2025), abbiamo cercato di capire come sta cambiando la filiera calzaturiera cinese sotto la pressione di dazi, rallentamenti globali e nuove rotte produttive. Il quadro emerso è quello di un settore che, pur colpito duramente, non si arrende. Taglia, riorganizza, diversifica, ma non perde il controllo. Dal colpo inferto dalla guerra commerciale tra USA e Cina è nata una nuova fase. La Cina perde centralità nelle statistiche, ma resta il cuore della manifattura globale, soprattutto per chi cerca velocità, flessibilità e know-how tecnico. In parallelo, sta crescendo il ruolo delle produzioni ibride e tornano in gioco anche marchi europei. Così la filiera cinese cambia strategia. Una fase di transizione, ma anche di ritorni. E di nuovi equilibri. Li abbiamo raccontati in “Le voci di Riva del Garda: La crisi e i dazi, visti da Pechino” sul numero di luglio del mensile La Conceria.

La filiera cinese cambia strategia

Le aziende cinesi più lungimiranti, come People International, avevano già imparato la lezione delle prime tensioni USA-Cina, diversificando gli impianti e riducendo la dipendenza da un solo mercato. Ma per molte realtà più piccole, il contraccolpo dei dazi ha significato tagli pesanti e crolli negli ordinativi. Come ci hanno spiegato più voci dal padiglione asiatico, i grandi gruppi americani faticano a lasciare davvero la Cina: i margini si assottigliano, ma tempi e capacità produttiva restano imbattibili. Queenie Gao di Liliiboo  sintetizza bene il paradosso: “Produrre altrove è possibile solo sulla carta. Ma poi tornano tutti lì. Nessuno riesce a sostituire davvero la Cina”. Intanto, gli spazi lasciati liberi dai big USA vengono occupati da marchi europei in cerca di fornitori flessibili e di una filiera pronta a ricalibrarsi sui nuovi numeri del mercato.

 

 

Strategie inverse

Tra i racconti più emblematici raccolti in fiera, spicca quello di Maria Cheng, nata in Italia da famiglia cinese, cresciuta a Bologna e poi tornata in Cina per fondare Minissimi, una pelletteria che oggi conta 100 dipendenti a Guangzhou. Un’azienda che vende in tutto il mondo, ma ha ridotto drasticamente l’esportazione verso gli Stati Uniti, scesa sotto il 5%. “Il mercato americano è diventato troppo instabile. E trovare alternative non è semplice, perché Europa e USA sono mondi diversi, anche in termini di gusto e qualità”. Maria ha mantenuto un legame forte con l’Italia, facendo arrivare artigiani italiani per formare i suoi team. Un modello ibrido e moderno che fotografa bene il nuovo volto del made in China: competitivo, resiliente, e con radici sempre più internazionali.

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