Caos India: i conciatori di Jajmau minacciano “estreme conseguenze”, il GST “costringe” i calzaturieri a comprare cinese

Ancora contraddizioni per l'area pelle

“O scendiamo in strada o ci uccidiamo”. Lo stop imposto alle concerie indiane della regione di Jajmau, nel Kanpur, ha messo definitivamente in ginocchio gli imprenditori locali e sta creando situazioni di isterismo estremo. La misura è stata introdotta lo scorso dicembre per consentire di riportare le acque del fiume Gange e dei suoi affluenti “in una buona condizione”, ripulendoli da gran parte delle sostanze inquinanti. Nonostante il divieto di operare sia decaduto lo scorso 4 marzo, ad oggi le concerie locali non possono ancora tornare in funzione. Alcuni imprenditori hanno così manifestato tutto il proprio disappunto e frustrazione al quotidiano National Herald India. “La nostra fiducia è completamente persa” spiega Feroz Alam di Merit Leather Finishers e membro del comitato esecutivo della Small Tanners Association. “O scendiamo in strada o ci uccidiamo” continua, manifestando così le difficoltà legate alla perdita diretta di denaro e indiretta per la migrazione di clienti ad altri Paesi. Secondo alcune fonti locali, le concerie non riapriranno prima della conclusione delle prossime elezioni (metà maggio) e, nel frattempo, il Comitato di Controllo per l’Inquinamento dell’Uttar Pradesh è passato alle vie di fatto nei confronti degli imprenditori che tentano di violare lo stop. Nei giorni scorsi gli operatori dell’organismo hanno comminato una multa di circa 13.000 euro a una conceria accusata di aver lavorato per tre mesi. Ora l’azienda avrà 15 giorni di tempo per pagare la sanzione, altrimenti scatterà la segnalazione d’ufficio al National Green Tribunal e il recupero coatto della somma. Ma i problemi della filiera non sono legati solamente al blocco delle concerie. L’imprenditore calzaturiero Sharvan Singh di Rawli denuncia all’Indian Express le difficoltà connesse all’introduzione della GST, la Goods and Services Tax: “Ci ha quasi uccisi, ma la Cina ci ha salvati” dice. Come spiega al quotidiano, prima dell’introduzione della nuova tassa “non vi era alcuna imposta sulla vendita di calzature fino a 499 rupie (6,38 euro) e anche per quelle vendute al di sopra di quella soglia potevamo compensare il 14% di IVA con le tasse sulle materie prime pari al 5% per la pelle, al 6% per le suole e al 12% per le colle”. Con la GST, invece, per tutte le calzature che costano fino a 1.000 rupie (12,78 euro) bisogna pagare una tassa del 5% e per le altre del 18%. Per far fronte a questi nuovi costi Singh, come altri suoi colleghi, ha deciso di rivolgersi al mercato cinese importando pellame da Pechino: la qualità risulterebbe inferiore, ma è più basso anche il prezzo. “Questa pelle – conclude Singh – mi ha aiutato a sopravvivere sia alla GST sia alla ridotta disponibilità, insieme al costo più elevato della pelle pura dopo la repressione da parte del governo del macello del bestiame e della chiusura delle concerie”.

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