I dolori della scarpa sudamericana: 2.100 licenziamenti in Argentina, in Brasile Abicalçados scrive al governo

Argentina e Brasile, calzatura (molto) sotto pressione. Ieri, come annunciato a fine novembre, è stato l’ultimo giorno di lavoro presso lo stabilimento produttivo di Paquetá, a Chivilcoy: 397 lavoratori sono stati licenziati. La fabbrica esisteva dal 2006 ed è arrivata a dare lavoro a 1.500 persone. Secondo i sindacati, il liberismo scelto dal Governo e l’arrivo delle importazioni di prodotti finiti o semilavorati hanno inferto il colpo letale all’azienda. “Due mesi fa eravamo 800 dipendenti. La chiusura totale dell’azienda è causata dalla mancanza di ordini da parte di Adidas, di cui Paquetá ha l’esclusiva produttiva. Quando un governo apre all’importazione, le prime fabbriche che cadono sono tessili e calzature” ha commentato Lorenzo Lezama, delegato sindacale, come riportato da alcuni media online argentini. Stessa (brutta) sorte per il calzaturificio Dass di Eldorado che ha licenziato 175 lavoratori a causa, dichiara il management, di un calo delle vendite incorso dal 2016 e, anche in questo caso, dovuto alle importazioni e al calo dei consumi interni. Secondo l’Unione dei Lavoratori dell’Industria Calzaturiera (UTICRA), i dipendenti hanno appreso del loro licenziamento solo quando stavano entrando in fabbrica. Negli ultimi mesi in Argentina, tra Paquetá, Dass, Gaelle e Alpargatas, si sono persi 2.100 posti di lavoro. Timori sul futuro dell’industria calzaturiera non sono però tipici solo di Buenos Aires. La scarpa soffre anche in Brasile dove Abicalçados ha presentato un documento “di allarme” al Governo. Attualmente in Brasile ci sono 7.000 calzaturifici che impiegano direttamente 300.000 persone. Se aggiungiamo l’indotto questo numero supera le 500.000 unità. Tra le misure elencate nel documento vi è “l’impegno per un solido aggiustamento del sistema fiscale, che consentirà di salvare la capacità di investimento del settore privato, riforme per la sicurezza sociale e la burocrazia”. Il documento cita anche “la necessità di una maggiore flessibilità nelle normative ambientali e pone l’attenzione sulle conseguenze di un’apertura al libero mercato”. Negli ultimi dieci anni, le esportazioni brasiliane di calzature sono crollate da 1,7 miliardi a 1 miliardo di dollari, un livello simile a quello degli anni ’90. (mv)

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