La filiera portoghese della calzatura ha scelto la via dell’innovazione per restare competitiva. Robot, automazione e intelligenza artificiale entrano in fabbrica, ma non per sostituire l’uomo. La tre giorni di FAIST, andato in scena a Porto dal 17 al 19 novembre, e sostenuto da APICCAPS e da un ampio consorzio di imprese, ha mostrato i primi risultati. Tra nuove figure professionali e prodotti innovativi, il settore punta a qualità e sostenibilità. Una sfida che guarda al futuro e risponde alla concorrenza asiatica con creatività e valore aggiunto. Per leggere il nostro reportage dall’evento basta cliccare qui. Sul numero di dicembre del mensile La Conceria, infatti, proviamo a capire come in Portogallo la scarpa cerca risposte future.
La scarpa cerca risposte future
Il cuore del progetto FAIST è un investimento pubblico-privato di oltre 190 milioni di euro, che ha coinvolto 70 partner tra aziende, università e centri di ricerca. I risultati sono già tangibili: 34 prodotti innovativi, 300 nuove figure professionali di cui 100 altamente specializzate, e una rete interdisciplinare che lavora per rendere la calzatura portoghese più efficiente e sostenibile. Non si tratta solo di una riduzione dei costi, ma di un aumento in valore delle scarpe, puntando su qualità e processi avanzati. Luís Onofre, presidente di APICCAPS e titolare dell’omonimo brand, lo ribadisce con chiarezza: l’innovazione non serve a svuotare le fabbriche, bensì a renderle più forti e capaci di rispondere alla domanda globale. In un mercato dominato dall’Asia, che esporta quasi il 90% delle calzature mondiali, l’Europa deve rispondere con creatività e prodotti ad alto valore aggiunto. Il Portogallo, che nel 2024 ha esportato 68 milioni di paia per 1,87 miliardi di euro, punta così a consolidare la propria posizione nel ranking mondiale, dove occupa il 20° posto.
I protagonisti della transizione
Resta comunque un tema: se arrivano i robot, che fine fanno gli operai? La risposta di FAIST, anche in questo caso, è netta: la tecnologia non sostituisce, ma valorizza. Nelle nuove linee di assemblaggio, per esempio, visori e bracci automatici affiancano la sapienza umana, liberando i lavoratori dalle mansioni più ripetitive e proiettandoli verso ruoli qualificati. L’azienda Carité, capofila del progetto, ha investito milioni per modernizzare i suoi sei siti produttivi e integrare verticalmente le lavorazioni. Ora può gestire internamente processi prima affidati a fornitori esterni, aumentando la capacità produttiva fino a 6.000 paia al giorno. Ma per crescere servirà più personale, meglio formato. La vera sfida diventa quindi attrarre nuove generazioni, offrendo luoghi di lavoro moderni e stimolanti. È qui che si costruisce il nuovo savoir faire europeo: un equilibrio tra automazione e creatività, tra efficienza e artigianalità. Come dimostrano altri settori, dall’auto elettrica alla moda, i rivali asiatici recuperano rapidamente terreno. Per questo l’Europa deve puntare su ciò che la rende unica: la capacità di inventare, sorprendere e dare valore.
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