L’alluvione del ’66 a Santa Croce: la testimonianza di Alessandro Francioni (Sanlorenzo) e Piero Caponi (Brotini)

“La sera del 3 novembre il fiume cominciò a calare e questo ci tranquillizzò tutti, ma in realtà il livello scendeva perché si erano rotti gli argini a Ponticelli di Santa Maria a Monte, e l’acqua stava arrivando dal Canale Usciana. Mi ricordo che mi svegliarono quando arrivò l’acqua, erano le 5 del mattino”. A raccontare la sua testimonianza dell’alluvione del ’66 è uno dei protagonisti di quei giorni drammatici, Alessandro Francioni, oggi vicepresidente dell’Associazione Conciatori di Santa Croce, all’epoca 20enne, che lavorò come volontario nel rafforzamento degli argini dell’Arno. “Avevamo puntellato il muro con longarine di ferro e sacchi di sabbia, ma l’acqua arrivò da nord sommergendo di tre/quattro metri la zona industriale. La nostra conceria si salvò essendo più in alto, a Castelfranco – racconta Francioni, titolare della conceria Sanlorenzo -. Aiutammo tutti gli amici a conciare le pelli che erano state alluvionate, altrimenti sarebbero andate perse”. Piero Caponi, titolare della conceria Brotini, allora proprietario della Conceria e dei Magazzini Arno ricorda che “un ruolo fondamentale, in quei giorni, lo ebbe anche la Fonderia Gozzini che fece asciugare i motori dei bottali, rimasti sott’acqua, nei propri forni. Nel ’66 molte concerie erano in difficoltà economiche perché non avevano lavoro e da questa disgrazia ripartirono meglio di prima”, racconta Caponi. Dopo l’alluvione (nell’immagine, una foto dell’epoca concessa dal Comune di Santa Croce sull’Arno) il lavoro riprese in tempi rapidi: l’acqua defluì, lo Stato inviò un contributo (seppur minimo) e sospese per qualche mese le tasse. La prima prova di operosità delle concerie fu sistemare i pellami deteriorati dall’alluvione che i calzaturifici fiorentini avevano in magazzino. “Salvammo quelle pelli, dimostrando di essere in grado di lavorare bene anche in condizioni di grande difficoltà – continua Caponi – e sull’onda di una sorta di psicosi da parte dei calzaturifici, che temevano di non riuscire a sopperire agli ordini, cominciammo a ricevere molto più lavoro”. (mvg)

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