La proposta di una Certificazione Unica di Conformità delle Filiere della Moda” proposta dal MIMIT fa discutere. Al centro del dibattito c’è la richiesta di una remunerazione più equa del lavoro delle piccole e microaziende artigiane. Per questa ragione, associazioni come CNA Federmoda Firenze, chiedono correttivi alla proposta del ministro Adolfo Urso. Ecco in quali termini.
Una remunerazione più equa
“Servono correttivi – osserva Simone Balducci, presidente di CNA Federmoda Firenze – a partire da una giusta remunerazione delle commesse. Perché il vero nodo della legalità è la mancanza di giustizia contrattuale. Oggi le relazioni tra committenti e subfornitori si basano su capitolati e codici etici non contrattualizzati, privi di tutele effettive. La legge 192 del 1998, che già offre un quadro di riferimento chiaro per la subfornitura, resta quasi sempre lettera morta”.
L’appello delle microimprese artigiane
Anche Confartigianato Imprese ha pubblicato sul proprio portale una nota. Sottolinea la necessità di tutelare “una catena di valore in cui ogni anello – dalle micro imprese artigiane ai grandi marchi – deve operare nel rispetto di regole chiare e vincolanti”. Dichiarandosi favorevole all’introduzione della certificazione proposta dal MIMIT, Confartigianato va oltre. Ricorda, infatti, che “accanto alla certificazione, deve emergere il principio dell’equa remunerazione“. La certificazione, quindi, “deve valorizzare l’intera filiera produttiva: non solo il marchio e il prodotto finale”.
Tutela della filiera
“Affinché la certificazione possa davvero trasformarsi in uno strumento di valorizzazione autentica della filiera – specifica Balducci -, e non in un ulteriore peso burocratico, servono modifiche precise. Solo così potrà davvero tutelare chi il Made in Italy lo produce ogni giorno, con competenza, passione e rispetto delle regole”.
La crisi continua
Intanto il distretto manifatturiero della Città Metropolitana di Firenze continua a soffrire. La crisi “è iniziata in sordina nel 2022 e ormai è ben radicata. A settembre 2025 le imprese attive del comparto erano 5.233, il 2,8% in meno rispetto a un anno fa. Un segno meno che attraversa indistintamente tutto il settore: tessile, abbigliamento e pelletteria.
Gli effetti sulla pelletteria
“La pelletteria – fino a non molto tempo fa tra i motori economici più solidi del territorio toscano – ha perso il 2,7% delle imprese. Il calo arriva al 3,1% tra quelle artigiane, dove si concentrano le professionalità più qualificate. Così, oggi, le imprese attive nella pelletteria sono scese a 3.195 di cui 2.250 (il 70%) artigiane”, dice Balducci. Da gennaio ad agosto 2025, 125 imprese hanno dovuto ricorrere alla Cassa Integrazione: 1.201 lavoratori coinvolti e un costo complessivo di quasi 1.600.000 euro. Un dato in diminuzione rispetto al 2024, ma solo perché “molte aziende hanno esaurito le settimane di ammortizzatori sociali a disposizione o, purtroppo, perché non esistono più”. (mvg)
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