Armani, dal primo gesto creativo all’ultima lezione sulla moda

Armani, dal primo gesto creativo all’ultima lezione sulla moda

Nel 1975 nasceva la maison Giorgio Armani. Ma è nel 1974, un anno prima, che lo stilista compiva il suo primo gesto creativo: una collezione in pelle per Sicons, azienda specializzata in cuoio e nappa. Un debutto dimenticato, eppure decisivo. Perché è da lì che Armani comincia a scolpire il suo mito. E lo fa con la pelle: materia viva, scultorea. Nel mensile La Conceria di ottobre ripercorriamo questa traiettoria, dal primo gesto creativo all’ultima lezione sulla moda, con quella lettera aperta del 2020 in cui Armani denunciava la crisi del lusso. Un doppio racconto che merita di essere letto, perché dice molto di ciò che era la moda. E di ciò che potrebbe tornare a essere. Per la versione integrale di “In memoria di Re Giorgio: Armani prima di Armani: quando la pelle era (già) stile” basta cliccare qui.

Dal primo gesto creativo

Prima ancora di fondare la sua maison, Armani firma una collezione da freelance per Sicons. È il 1974. Il mondo della moda è dominato da silhouette rigide, sartorie ingessate. Armani rompe gli schemi: propone giacche morbide, trench destrutturati, pantaloni in pelle scamosciata. Senza fodere, senza cuciture visibili. La pelle diventa gesto, forma, pensiero. Un materiale che respira, che si modella sul corpo. È il primo manifesto di uno stile che cambierà il volto della moda. Negli anni ’80, la pelle torna protagonista: nel power dressing, nei dettagli, negli accessori. Fino ai primi anni 2000, quando Armani la trasforma, come nel caso di un completo in pelle d’agnello che sembra velluto. Un gioco di apparenze che rivela la coerenza di una visione: la pelle come linguaggio silenzioso, ma potente.

 

 

All’ultima lezione sulla moda

Accanto a questo, una lezione sul lusso. Aprile 2020. Il mondo è in lockdown. Giorgio Armani scrive una lettera aperta a WWD. È un atto di rottura: lo stilista condanna il lusso che ha tradito se stesso, inseguendo il fast fashion, la sovrapproduzione, la comunicazione roboante. Denuncia capsule effimere, stagioni sfasate, collezioni che durano tre settimane. Invoca autenticità, ricerca, valore. All’epoca sembrò moralismo. Oppure emotività. Oggi invece, con il sistema impantanato e i magazzini pieni, quella lettera suona come una profezia. Armani aveva capito tutto, e lo aveva scritto nero su bianco. Ecco perché abbiamo provato a raccontarvelo nel mensile La Conceria. Perché se il lusso vuole ripartire, deve tornare a comportarsi da tale.

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