Gucci ha il vento in poppa, Louis Vuitton ha “ampi margini di espansione”: il derby del lusso spiegato dal Financial Times

La coppia Bizzarri-Michele pronta all’allungo per ergersi in cima alla piramide della moda. La fortezza Louis Vuitton poggia su sicure fondamenta e ha ancora ampi margini di espansione del business. Una sfida per il titolo di primo brand del lusso, che è anche una sfida tra colossi francesi: LVMH contro Kering, famiglia Pinault contro dinastia Arnault. È il Financial Times ad assumersi l’onere di investigare quali armi abbia ciascuna griffe a disposizione, e su quali debolezze altrui possa far conto per uscire vincente dal duello. Allora si comincia con Gucci: il buon lavoro del management artistico e finanziario si traduce in numeri da capogiro (+49% delle vendite nel primo trimestre 2018), mentre la griffe ha praticamente rubato il cuore ai giovani consumatori (Millennial e Generazione Z sono suoi: fino al 2030 la crescita è assicurata). Il mix degli elementi, nuovo look per nuovi modelli di business rivolti a un pubblico emergente, garantisce che il boom di Gucci, per quanto destinato prima o poi a normalizzarsi, sia tutt’altro che passeggero. Dall’altro lato della barricata c’è Louis Vuitton, il cui giro d’affari è ciclopico oltreché in crescita (+16% nel primo trimestre) e la cui aura di esclusività rimane intatta. LV ha in un difetto anche lo spiraglio per la propria espansione: tra i brand del lusso, è quello meno diversificato. Oltre il 90% del fatturato deriva dai Leathergoods: calzature, abbigliamento e altri prodotti sono ritenuti terreni ancora vergini che la griffe può esplorare. Dai piani alti di Louis Vuitton, riporta il Financial Times, la prendono con sportività: “Non ci interessano i volumi di vendita, ma il prestigio del brand”. La sfida, però, è in corso: il tempo ci dirà chi è più attrezzato a vincerla.

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