La filiera della pelle e il valore dei distretti per il CorSera

La filiera della pelle e il valore dei distretti per il Corsera

Un vero e proprio viaggio di scoperta. Lo affronta oggi Il Corriere della Sera, nel dorso L’Economia, accendendo i riflettori sulla filiera italiana della pelle (concia > pelletteria > calzatura) per disegnarne una sorta di (ragionata) geografia. L’input arriva da un report redatto dalla Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo. E la scoperta, alla fine, è che il valore dei distretti della filiera italiana è talmente elevato da rappresentare, nonostante le fatiche e le (inevitabili) ombre, un esempio storico di solidità.

La filiera della pelle per il CorSera

Questa solidità, scrive il CorSera, “ha retto alla sfida della concorrenza asiatica e ora sta recuperando, seppur con qualche fatica, sui guasti arrecati dalla pandemia”. Cosa che “in entrambi i casi non era scontata. Lo ha fatto mettendo in campo strategie di lungo periodo che potremmo definire combinatorie, in cui la qualità della manifattura locale si è saldata all’arrivo di capitali stranieri”. Il risultato, sottolinea il quotidiano, è che “la filiera italiana della pelle è rimasta l’unica tra i Paesi avanzati a produrre un saldo commerciale positivo. In uno scenario dominato da Cina, Vietnam e in cui Indonesia e Cambogia stanno scalando le classifiche internazionali della produzione e dell’export l’Italia è riuscita a mantenere pressoché invariata, nell’ultimo decennio, la posizione di leadership”. A confermarlo, è lo studio firmato Intesa Sanpaolo.

Strategie di fascia alta

“Sull’arco dei dieci anni – scrive Intesa – hanno influito positivamente il mantenimento della produzione e delle competenze sul territorio nazionale insieme all’attrazione di multinazionali straniere”. La strategia distrettuale della specializzazione, dunque, ha funzionato, soprattutto, nei prodotti di qualità”. Non a caso “risultano del 51% di fascia alta, del 36% di fascia media e solo per il 15% di fascia bassa”.

 

 

Il valore dei distretti

La geografia della filiera, dunque. Per Intesa si compone di circa “16.000 imprese e 145.000 addetti” e si divide in “17 distretti” nei quali operano alcuni grandi player e una miriade di PMI. Nota Bene: i primi “in termini di addetti occupano solo il 7,3% del totale”. Capitolo esportazioni. Tenendo per ora a margine il 2020, la filiera ha vissuto nel 2019 “il decimo anno di crescita consecutiva dell’export di un settore che nel ranking mondiale segue (con una quota del 10,2%, il doppio della Francia) solo la Cina (33,7%) e il Vietnam (12,6%)”.

Cinque esperienze

L’esemplificazione delle differenti “strategie di lungo periodo” della filiera, si riassumono, per Intesa Sanpaolo in cinque esperienze distrettuali. In altre parole, quelle di Montebelluna, Fermo, Riviera del Brenta, San Mauro Pascoli e Firenze. Analizzandole per approccio al mercato e modalità di gestione della produzione. Senza dimenticare la capacità di attrarre i colossi globalizzati del lusso. Una capacità che, però, si scontra con una problematica di assoluta attualità: “Fino a quando sapremo conservare questo primato vista la difficoltà nel reperire tecnici e operai specializzati?”. La sfida è servita.

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