La pelletteria è il vero core business: quanto pesano gli accessori nei bilanci delle griffe?

In passerella l’occhio indugia e si fissa, soprattutto, sugli abiti. Ma, alla fine, quel che fa girare i conti delle griffe e dei grandi brand del lusso sono gli accessori. Quelli di pelletteria. Le maison, infatti, hanno nella divisione “leather goods” quella che genera oltre la metà del fatturato. Mentre per LVMH non è possibile avere i dati scorporati, l’altro gigante del lusso Kering realizza il 71% delle sue entrate grazie alla vendita di articoli in pelle. Alcuni gruppi hanno la pelle nel loro DNA. Lo spiega, prendendo come riferimento finanziario i bilanci relativi al primo semestre 2018, la testata italiana MF Fashion. Il gruppo Tod’s ha realizzato il 94,2% dei propri ricavi grazie ai prodotti in pelle, Bottega Veneta si è “fermata” al 92% e Salvatore Ferragamo all’81,4%. Seguono Prada e Saint Laurent, appaiate, col 76%, e precedono di un soffio Gucci che è arrivato a 75%. Il gruppo Michael Kors arriva quasi a due terzi delle entrate (64,8%), mentre per il suo competitor Tapestry la percentuale di leather goods arriva al 58,2%. Poi, arriva quella che può apparire come una sorpresa: Hermès, noto per le sue borse e i prodotti in pelle, si ferma (si fa per dire) al 50% del fatturato. In netta rincorsa Brunello Cucinelli che, partito da una percentuale bassissima, oggi mostra una quota di accessori che pesa per il 14,2% del fatturato. Anche il gruppo Aeffe, grazie a Pollini e a Moschino, realizza un terzo dei ricavi con la pelle (34%) mentre il britannico Burberry lo supera arrivando a 38,3%. Chiude la classifica Richemont, specializzato in orologeria e gioielleria che ha una quota di pelletteria di appena il 7%. (mv)

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