Vanessa Friedman non ricava buone sensazioni dalle sfilate di Parigi. Anzi, dopo aver visto gli show di YSL e Vuitton la firma di punta del New York Times si chiede: “Ma a chi parlano le griffe?”. Perché dietro la reiterazione della “formuletta magica” che fino a “5 o 10 anni fa” funzionava (“location fantastica, superstar tra gli ospiti, ricerca d’archivio”), la giornalista non vede una proposta che sia in grado di agganciare il pubblico. “In un certo senso il lusso ha sempre vissuto in una realtà a parte – sentenzia –, ma ora risulta meno influente ed aspirazionale, se non inconsistente”.
A chi parlano le griffe?
La location scelta da Nicolas Ghesquière per LV (gli appartamenti di Anna d’Asburgo al Louvre, in foto) è, suo malgrado, esemplificativa secondo Friedman. “L’intenzione probabilmente era equiparare la collezione all’arte – osserva –, ma il suggerimento involontario è che la collezione è una reliquia del passato”. Già, perché l’insistere con la formuletta magica di cui sopra non funziona più: più l’offerta stilistica ci insiste, più lo stile risulta “arcaico”. “Quale donna” dovrebbe sentirsene attratta? “La moda è in bilico sull’orlo della rilevanza, a rischio di scivolare giù – risponde Friedman –. Non basta armeggiare con look del passato, un tempo forti: la storia li ha resi tradizionali. Riproporre ancora e ancora le stesse cose, rifugiarsi nella nostalgia in questa fase di grande ansia sembra utile, ma rende l’intera proposta statica e disconnessa dalla realtà”.
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