Non è solo del calcio che i sauditi vogliono essere protagonisti

Non è solo del calcio che i sauditi vogliono essere protagonisti

Chi si interessa di calcio lo sa: con gli ingenti investimenti veicolati dal fondo sovrano PIF i sauditi sono riusciti a essere protagonisti dell’ultima sessione di mercato. E a trasformare il locale campionato in un teatro di campioni. Ma l’attivismo di Riyad, racchiuso nel progetto Vision 2030 (con il suo budget di 1.000 miliardi di dollari), non si limita allo sport. Il Paese intende diventare un player di rilievo anche del lusso. Nel ruolo di produttore, come è insito nell’accordo appena stipulato col MIMIT a proposito di investimenti nel made in Italy. E in quello di mercato di consumo: gli analisti concordano sul potenziale di sviluppo.

La volontà di essere protagonisti

Secondo Deloitte, scrive MFF, nei prossimi tre anni il Middle East e l’Asia saranno le uniche due regioni dove i brand aumenteranno gli investimenti di oltre il 10% (contro la media del +5% in Europa e States). In particolar modo, l’Arabia Saudita vale da sola circa il 25% dei consumi mediorientali di prodotti moda, con una prospettiva di raddoppio dei volumi dai 3 miliardi di euro circa del 2023 ai 6 miliardi del 2030. Le griffe, come è normale che sia, drizzano le antenne, perché “la penetrazione attuale del mercato del lusso retail è solo del 7%”, si legge su MFF, mentre i cittadini sauditi fanno “più del 40% degli acquisti” d’alta gamma all’estero.

 

 

Un mercato da conoscere

“Aziende come Gucci, LVMH, PVH e Rolex stanno lanciando i loro prodotti sul mercato – commenta con MFF Cesare Battaglia, partner PwC Italia –, attirando l’attenzione dei consumatori regionali”. I mercati arabi sono anche un terreno potenzialmente scivoloso, però. Da un lato “i governi cercano di creare un equilibrio tra l’influenza delle aziende di lusso occidentali e la promozione di una produzione e un consumo locali di lusso”. Quindi bisogna muoversi con partner e adottare anche le giuste tutele a difesa del copyright. Dall’altro si tratta di un pubblico (ma i brand in questo senso sono forgiati da anni di attività globale) che pretende rispetto: “Il Medio Oriente ha una cultura unica e tradizioni specifiche – conclude Battaglia –. Quindi è importante per i marchi comprendere e rispettare queste differenze culturali. L’insensibilità potrebbe danneggiare la reputazione del marchio e alienare i consumatori locali”.

In foto (Shutterstock) un centro commerciale di Riyad

 

 

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