Dopo oltre trent’anni di divieto quasi assoluto, il governo del Bangladesh allenta temporaneamente le restrizioni sull’esportazione di pelli grezze e wet blue. La misura, valida per tre mesi, arriva in vista della festività di Eid al-Adha, una delle principali festività musulmane, durante la quale milioni di animali vengono sacrificati e le loro pelli messe in commercio. La decisione sta già facendo discutere. Da una parte gli operatori del commercio di pelli plaudono all’iniziativa, mentre i proprietari delle concerie la giudicano una minaccia per l’industria locale.
La decisione del Bangladesh
Come riporta la stampa locale, per i commercianti di pelli grezze la riapertura all’export rappresenta un’opportunità importante per rilanciare un settore in difficoltà. Secondo Manjur Hasan, presidente del Bangladesh Hide and Skin Merchant Association, la possibilità di esportare contribuirà ad aumentare la domanda e a garantire prezzi più equi, permettendo anche lo smaltimento delle pelli conservate negli anni passati. Tra l’altro, dopo che il prezzo delle pelli è calato drasticamente rispetto a dieci anni fa, molti venditori hanno svenduto o sotterrato le pelli invendute. Il nuovo provvedimento viene quindi visto come una mossa di buon senso da parte del governo.
C’è domanda
Va anche sottolineato che la domanda di wet blue è ancora forte in Paesi come Cina, Italia, Giappone, Corea del Sud e Spagna, mercati già serviti dal Bangladesh per le pelli finite. Secondo alcuni esportatori, però, restano delle difficoltà: i commercianti locali non sono abituati a trattare con clienti internazionali e trovare nuovi mercati in tempi brevi. Per questo motivo chiedono supporto governativo nella ricerca di partner esteri.
Il no dell’industria conciaria
Dall’altro lato, i proprietari delle concerie vedono nella decisione una potenziale minaccia alla sopravvivenza del settore. Per Sakhawat Ullah, vicepresidente senior della Bangladesh Tanners Association, l’esportazione di wet blue rischia di svuotare di valore un comparto industriale che impiega migliaia di persone e ha ricevuto ingenti investimenti. Secondo Ullah, vendere pelli semilavorate significa rinunciare a una parte significativa della catena del valore. Il bando introdotto nel 1990 serviva proprio a evitare che il Paese si limitasse a esportare materie prime senza alcuna trasformazione, a vantaggio delle industrie straniere.
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