Dar retta ai vegani nella più grave crisi industriale di sempre

Dar retta ai vegani nella più grave crisi industriale di sempre

“Sostituire la pelle”. Ce ne vuole di fegato per pensare che nella più grave crisi industriale di sempre sia questa la priorità. Eppure, c’è chi batte su questo tasto. Certo, nel caso di PETA perché è la sua ragion d’essere: tolto questo, le resta poco. Ma è triste notare che nella baraonda in cui ci troviamo ci sia pure chi le dà retta, come il gruppo Renault.

Nella più grave crisi industriale del secolo

Partiamo dal caso del gruppo Renault. Che nel panorama dell’auto europea, alle prese con una drammatica transizione tecnologica che vede in vantaggio i concorrenti cinesi e nordamericani, è tra quelli che se la cavano meglio. Eppure, non può dirsi fuori dalla mischia. Nel primo semestre ha sofferto “un contesto di mercato difficile, con risultati non in linea con le ambizioni iniziali”, mentre l’alleanza industriale con Nissan è foriera di perdite. Al contempo, molti hanno visto nella fuga del CEO Luca de Meo, che ha preferito mollare la barca per assumere lo stesso ruolo nel gruppo Kering (al quale veniamo tra poco), un segno della debolezza delle quattro ruote. Ebbene, in questa cornice di eventi il gruppo si è impegnato a diventare “leather free” dal 2026. Sul serio? Pensano di uscire dalle secche rivestendo gli abitacoli di alternative a base di plastica?

 

 

Le pressioni

L’abbiamo già notato in altre occasioni: la svolta vegana è spesso l’ultima speranza di chi è messo male e cerca un colpo di scena per darsi lustro (almeno in certi ambienti). Altrettanto spesso dietro ci sono le pressioni di gruppi di interesse: è il caso della succitata PETA. Indovinate che cosa ha avuto appena il coraggio di consigliare a Demna Gvasalia per risollevare le sorti di Gucci? Ma certo, di eliminare le “pelli di animali selvatici” dalle collezioni, a favore delle alternative. Ce ne vuole di fegato, dicevamo, per sostenere che questa debba essere la priorità di un brand passato dal giro d’affari di 9,7 miliardi del 2021 ai 7,6 del 2024. E che si trova in una spirale discendente che fa molto male a tutta la filiera che lo serve. Per PETA i suoi tabù vengono prima dei livelli occupazionali. Ma non si può chiedere, d’altro canto, a chi ragiona per partito preso di sviluppare idee nuove o originali. L’importante, però, è non farne neanche un consigliere industriale.

Immagine generata con Grok

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