Nel panorama della moda contemporanea, il ruolo del direttore creativo non è più quello del genio isolato che detta tendenze dall’alto di una torre d’avorio. A dirlo al Corriere della Sera è Nicolas Ghesquière, da oltre dieci anni alla guida di Louis Vuitton. Che oggi incarna una nuova figura. Quella di un designer esperto anche di strategia, immerso nella realtà, capace di leggere il presente e anticipare il futuro. In un’epoca in cui la longevità è rara, la sua traiettoria offre una chiave di lettura preziosa su come sia cambiato, e continui a evolversi, il mestiere di chi guida l’immaginario di un brand globale.
Come è cambiato
Ghesquière non parla di resistenza, ma di resilienza. Non si rifugia nell’estetica, ma la intreccia con distribuzione e ascolto del pubblico. “Quando ho iniziato, il ruolo era meno legato a strategia, politica e marketing”. Il suo approccio è quello di un designer che ha imparato a dialogare con il sistema, senza tradire la propria visione. Un cambio di paradigma rispetto agli inizi, quando il direttore creativo era soprattutto un interprete estetico. Ghesquière infatti guida la divisione femminile di Louis Vuitton da più di dieci anni e ha attraversato ogni fase dell’industria.
Competenze strategiche
Oggi, quel ruolo si è ampliato fino a includere competenze strategiche, sensibilità politica e capacità di lettura del mercato. Il creativo non è più solo un autore, ma un interlocutore attivo con le dinamiche aziendali. Ghesquière lo dice chiaramente: “ora sono parti normali del lavoro”. Louis Vuitton, con la sua struttura mastodontica, è il terreno ideale per questa evoluzione. Una struttura su cui il creativo ha messo le mani, riorganizzando atelier, boutique e distribuzione, dimostrando che la direzione artistica è anche costruzione. Un equilibrio tra intuizione e metodo, tra libertà creativa e responsabilità sistemica. Un equilibrio che segue l’evoluzione dello stile femminile.
“Connesso alla vita reale”
E poi la trasformazione della figura stessa del direttore creativo. Che non è più isolato e che deve essere“connesso alla vita reale del lusso”. “Io viaggio, parlo con le persone, vado in boutique e nei department store, dove mi sento più anonimo. Mi piace osservare, toccare” sottolinea il designer. Un metodo umano, in un mondo dove l’intelligenza artificiale è entrata prepotentemente nei processi creativi. E una presa di coscienza, visto che “i prezzi aumentano per tante ragioni: i costi delle materie prime, della manodopera, l’inflazione. Ma ora le persone investono in pezzi che durano e che spesso acquistano valore nel tempo”. E forse è proprio questa consapevolezza, insieme alla capacità di adattarsi senza perdere sé stesso, che lo rende uno dei direttori creativi più longevi della sua generazione.
Foto LVMH
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