Il New York Times attacca il fashion italiano: “Subforniture come in Bangladesh”. Capasa insorge: “Attacco vergognoso”

È un coro unanime quello che si leva dai massimi livelli della moda italiana. Una risposta, sorpresa per la gratuità del colpo mediatico ricevuto e per la leggerezza del trattamento giornalistico, che intende restituire all’opinione pubblica gli strumenti per comprendere le dinamiche interne al fashion system nostrano. Perché l’inchiesta del New York Times, pubblicata con tanto di richiamo in prima pagina, è per Carlo Capasa “un attacco vergognoso e strumentale”, uno sgambetto (in concomitanza con l’inizio della Settimana della Moda meneghina) che fa sospettare il boicottaggio: “Siamo bravi, diamo fastidio”, afferma lo stesso presidente di Camera Nazionale della Moda Italiana alla Gazzetta del Mezzogiorno. La testata newyorchese, d’altro canto, ci è andata giù duro e a cuor leggero. Nel servizio sul terzismo pugliese (che, per estensione, è preso – da titolo – a immagine della “Economia ombra del Fashion italiano”) si delinea il quadro di una filiera di subforniture domestiche, a nero, sottopagate e senza tutele, di quelle che di solito sono usuali “in Bangladesh, Cina, India e Vietnam”. NYT si concentra sul tessile e tira in ballo esplicitamente Max Mara, Louis Vuitton, Gucci e Fendi, ma compie anche un’incursione nel calzaturiero (ancora pugliese) a proposito della supply chain del gruppo Tod’s. Uno scenario, nel complesso, indegno “per un Paese del primo mondo come l’Italia”. “Quello della moda italiana di lusso è uno dei settori dove le regole del lavoro vengono rispettate di più”, ribatte Capasa. Il vertice di CNMI sottolinea le inesattezze del servizio (“dicono che non abbiamo una legge sul salario minimo”) e ricontestualizza alcune valutazioni, come la demonizzazione del lavoro domestico: “Ha un senso purché rispetti le norme”. Capasa non intende giustificare eventuali illegalità: “Se i subcontratti hanno fatto delle stupidaggini vanno perseguiti, ma non c’è nessuna connivenza del lusso”. Così come Miuccia Prada a MFF spiega che certe questioni vanno affrontate con intelligenza: “Prima di criminalizzare un mondo, ci vogliono processi graduali”. Ma è Toni Scervino con La Stampa a rimettere le cose a posto. Addetti pagati un euro l’ora? Macchè, per l’alto di gamma è un prezzo impraticabile. “Su un modello di lusso lavorano anche 4 operai specializzati – dice –, altro sono le merci dozzinali che si fanno la guerra per il basso costo. Gli americani farebbero meglio a indagare sulle scarpe che indossano a 19 dollari”.

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