La moda è creatività, cultura e potere economico. Dietro le passerelle scintillanti e le campagne patinate, però, i dati raccontano altro: salari bassi e non dignitosi. Uno studio della Berlin School of Business and Innovation, basato sui dati di fashionchecker.org e riportato da Fashion Magazine, ha analizzato 219 aziende in 28 Paesi, rivelando che la quasi totalità non garantisce stipendi equi ai propri dipendenti. Un dato, quindi, che mette in discussione la responsabilità sociale di un settore che, pur prosperando grazie all’immaginario aspirazionale, sembra non poter più offrire incentivi per il ricambio generazionale. E resta evidente la distanza tra immagine e pratica in un’industria che fatica a dimostrare coerenza tra valori dichiarati e pratiche reali.
Spingere il ricambio generazionale?
Dei 219 marchi analizzati, ben 213 rientrano nella categoria E, la peggiore in una scala da A a E. Significa che non esiste un metodo consolidato né una supervisione rigorosa per stabilire salari dignitosi. Le restanti sei aziende, provenienti da Stati Uniti, Regno Unito, Germania e Paesi Bassi, si collocano nella categoria D, dove solo una minoranza dei dipendenti percepisce un salario equo. Nessuna realtà raggiunge le fasce più virtuose (A-C). In Italia, 21 marchi – da Armani a Prada, da Versace a Valentino – sono stati inclusi nello studio e tutti si trovano in categoria E. Le differenze si notano solo sul fronte della trasparenza delle catene di fornitura. Alcuni brand come Bottega Veneta o Brunello Cucinelli mostrano livelli minimi, altri come Fendi o Gucci raggiungono la massima apertura. La media globale è di 2,69 stelle su 5, con punte di eccellenza in Paesi come Svizzera e Svezia, mentre Francia e Cina restano fanalini di coda. Il dato più inquietante è che, sebbene 58 aziende abbiano promesso di introdurre salari dignitosi, solo cinque – Ovs, Patagonia, Pvh, Zeeman e Hema – hanno predisposto piani concreti.
L’attrattività verso i giovani
È questo, quindi, lo stato dell’arte. Un settore che continua a prosperare, ma che non assolve la sua responsabilità fondamentale. Come fanno allora queste aziende ad attrarre i giovani, nonostante salari bassi e scarsa tutela dei lavoratori? La risposta sta nell’immagine. La moda vende sogni, status e appartenenza culturale. I brand investono in storytelling, campagne social e collaborazioni con influencer, costruendo un universo aspirazionale che seduce le nuove generazioni. Tuttavia, la contraddizione è evidente. I giovani consumatori sono sempre più attenti a temi come sostenibilità e giustizia sociale e va da sé che la responsabilità non può essere ridotta solo a slogan.
Foto Gucci
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