Digitali da 5 miliardi di dollari, che non possono vivere senza i negozi. Il caso Farfetch nelle parole del suo fondatore

A prima vista sembrano parole paradossali e provocatorie. Le ha pronunciate Josè Neves, fondatore e ceo di un colosso del commercio digitale di lusso: Farfetch.com. Dice Neves in un’intervista rilasciata al quotidiano britannico The Telegraph: “Il 90% circa del prodotto d’alta gamma è distribuito da negozi fisici e, sebbene questa percentuale tenda a diminuire, i clienti del lusso continueranno a preferire l’esperienza reale a quella virtuale”. Un re del digitale che sconfessa lo strumento che gli ha dato successo e ricchezza? Neves va oltre: “La vendita in negozio può avere qualcosa di magico: per il design, la musica, i prodotti esposti, lo staff, il livello di servizio. Tutto ciò è impossibile da eguagliare online o su Instagram”. Affermazioni che solo in apparenza sono contraddittorie. Farfetch, infatti, in attesa di entrare in borsa (la sua valutazione “ufficiosa” sarebbe pari a 5 miliardi di dollari), è un portale virtuale fino a un certo punto. Non acquista stock dai brand per poi rivenderli, ma fa da intermediario tra il cliente e il negozio. Non punta, insomma, a massacrare la boutique, ma a valorizzarla: “Queste boutique – conclude Neves – sono spesso familiari e con questo sistema possono veder crescere esponenzialmente le loro vendite: molte mi hanno detto che non sarebbero sopravvissute senza di noi”. Parole interessate, dunque, ma la dimostrazione che una terza via commerciale, che non metta in contrapposizione web e negozio, è possibile.

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