La nostra ricetta per il cambiamento: intervista a Matteo Mastrotto

La nostra ricetta per il cambiamento: intervista a Matteo Mastrotto

“Io non la chiamerei crisi: penso sia un cambiamento”. Matteo Mastrotto, CEO di Rino Mastrotto, mette subito le cose in chiaro, quando gli si fa una domanda che chiama in causa l’attuale negatività congiunturale. E in quanto a “cambiamento” il suo gruppo può ben di dire di essere un capofila. Prima, avendo avviato una trasformazione da gruppo conciario a gruppo di filiera e da “fornitore” a brand. Poi, attivando un processo di aggregazione che ne ha ampliato gli orizzonti produttivi oltre quelli conciari, integrando Tessitura Oreste Mariani, Imatex e Mapel Group. In seguito brevettando un nuovo e processo conciario supergreen (Hearth) e chiudendo un’operazione con Prada che entra nel capitale di Rino Mastrotto con una quota del 10%, conferendogli il 100% di Conceria Superior e di Tannerie Limoges. Qualcosa che, da un certo punto di vista, somiglia più a una rivoluzione che a un cambiamento, come ci spiega Mastrotto in questa intervista.

L’operazione con Prada

Su quale logica si basa l’operazione con Prada?

Prada per noi è sempre stato un ottimo cliente, con il quale lavoriamo da tanti anni. Questa è un’operazione strategica per entrambi. Per loro, per l’importanza dell’ approvigionamento della materia prima. Per noi, perché ci garantisce una relazione ancora più stretta.

Cambierà il modello commerciale di Superior e Tannerie Limoges?

Superior e Limoges hanno sempre lavorato con tutti i clienti della moda e continueranno a farlo. Chiaramente Prada ci lavora, come lavora con le nostre altre concerie in Veneto e Toscana. Entrambe, però, rimangono concerie con un orizzonte commerciale a 360 gradi.

Sotto il profilo produttivo, come si amplia la vostra offerta?

Superior è un’azienda importante sull’alto di gamma. Quindi, ci dà una spinta in più in un momento in cui il mercato domanda pelli di alta qualità. Limoges, invece, ci permette di inserire l’agnello. È un altro segmento molto interessante in un’ottica di diversificazione, esattamente come abbiamo fatto con i tessuti e con i nastri. Anche entrare nell’agnello, quindi, è un atto di diversificazione.

La nostra ricetta per il cambiamento

In che modo avete gestito e state gestendo l’inserimento di tutte queste nuove aziende?

Finora abbiamo fatto un ottimo lavoro dal punto di vista delle acquisizioni. Adesso tutte queste aziende vanno fatte crescere. Di conseguenza abbiamo fatto un gran lavoro anche per inserirle, perché ci sia una reale aggregazione, necessaria per raggiungere i nostri scopi. Non a caso abbiamo fatto anche alcuni prodotti facendo collaborare le aziende, per esempio abbinando pelle e tessuto e nastro. In questo modo iniziamo a farci vedere in maniera diversa dal cliente, offrendogli un servizio a 360 gradi che oggi è fondamentale.

Farete altre operazioni?

Viviamo un periodo di transizione, di cambiamento. Stiamo tornando, secondo me, alla vera moda. Quindi: tanta articolistica, molto più spezzettata, tanti più colori. Di conseguenza, oggi dobbiamo consolidare quello che nel tempo abbiamo acquisito. Dopo, quando questo consolidamento sarà concreto, sicuramente si continuerà a valutare l’ipotesi di inserire nuove società che per noi sono strategiche sul mercato, sempre nell’ottica di completare la proposta che possiamo dare i clienti. Tutto è fatto e pensato in base alla nostra volontà di dare il miglior servizio alla clientela: è quello che ci interessa di più: avere una filiera completa da offrire ai clienti. Il che aiuta anche in momenti come questo, in cui hanno bisogno di affidabilità, servizio e qualità di prodotto. Fattori, questi ultimi, che oggi riusciamo a sviluppare grazie anche alla condivisione e al confronto con gli altri imprenditori entrati nel gruppo e che lavorano con altri materiali.

Più qualità, meno quantità

Cosa sta succedendo alla moda e al lusso?

Io non la chiamerei crisi: penso sia un cambiamento. Molto forte, ma normale in un mondo come quello della moda. Anzi, secondo, me abbiamo fatto anni durante i quali siamo diventati quasi industriali. Ora si vede, per esempio, un ritorno di pellami che magari non vedevamo da vent’anni di lavorazioni che sono state, appunto, troppo industriali. È un momento difficile, che richiede di tornare a fare “il vero lavoro”: questo è quello che ci dobbiamo aspettare per i prossimi anni.

Significa che i volumi di produzione diminuiranno?

Sicuramente secondo me ci sarà più qualità e meno quantità. Noi dobbiamo puntare sulla qualità. Ancora di più. Quindi: ci sarà più qualità di prodotto. L’attenzione alla sostenibilità rimarrà altissima e per questo abbiamo elaborato Hearth. Si tratta del brevetto per un processo conciario che permette di ridurre del 91% il consumo di acqua e del 23% l’utilizzo di prodotti chimici nella fase di riconcia, tintura e ingrasso. Stiamo ricevendo un boom di interesse, anche perché l’abbiamo presentato nel momento giusto, un momento di flessione congiunturale in cui la clientela è più pronta e disponibile a recepire una novità. Magari se lo avessimo presentato due anni fa, quando eravamo al culmine dell’effetto elastico post Covid, avremmo sì avuto interesse, ma non di questo livello e intensità.

La passione per la pelle

Cosa significa, oggi, lavorare con la pelle?

Significa studio continuo ed è bello che questo sia possibile perché la pelle è fonte di passione. Con la pelle non è mai finita, si ha sempre l’opportunità di creare qualcosa di nuovo da portare sul mercato. Per questo la pelle è fonte di entusiasmo tutti i giorni. È un lavoro duro, problemi ne hai tutti i giorni, ma è anche una fortuna che ci siano, perché sennò saremmo tutti fermi.

Come si traduce questa passione sul prodotto?

Facendo in modo che si possa tornare a innamorarsi di un materiale, di un oggetto che lo vedi e dici: lo voglio perché mi piace. Secondo me tutti dobbiamo tornare a far innamorare: noi, i nostri clienti con prodotti “fatti col cuore”. In questo modo trasmettiamo qualcosa di bello, di positivo, di sensuale. Trasmettiamo il vero il savoir faire, come dicono i francesi. I clienti, poi, devono fare innamorare chi compra. Il cambiamento attuale sta tutto qua.

E, quindi, che si fa?

Il mercato cambia e tante volte si ritorna dove si era partiti. Pensavamo di essere in cima alla collina tre anni fa. Adesso abbiamo scollinato. Ci rimettiamo lo zaino e ripartiamo. Non bisogna aver paura della crisi. La crisi è un momento di riflessione e secondo me abbiamo una resilienza talmente elevata in Italia che l’unica cosa che dobbiamo fare è restare focalizzati sul nostro business. Non dobbiamo interessarci di quello che succede altrove. Leggevo un’intervista ad Axel Dumas, il CEO di Hermés. Diceva: “noi siamo vincenti perché non pensiamo agli altri. Noi siamo solo focalizzati su noi stessi.” L’imprenditore deve essere focalizzato su quello che è capace di fare e andare avanti su quello in cui lui crede. Ascoltare a destra e a sinistra non serve: è solo una dispersione di energie e risorse.

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