Altro che “America First”: forniture in Cina e Indonesia. Il Guardian fa le pulci a Ivanka Trump

“America First”, sì, ma solo per gli altri. La campagna elettorale che ha condotto Donald Trump alla Casa Bianca è stata tutta all’impronta del protezionismo a stelle e strisce. La figlia Ivanka, che sul governo paterno ha pure una certa influenza, continua però a produrre le calzature del suo brand nel Far East, in Cina e in Indonesia, dove i salari sono bassi e i diritti dei lavoratori molto discrezionali. Questo, almeno, sostiene il quotidiano britannico the Guardian, che sulla filiera di Ivanka ha condotto inchieste a puntate. Innanzitutto ci sono i rapporti con una fabbrica di Ganzhou, Huajian International. Quando ai primi di giugno è circolata la notizia che tre attivisti legati al China Labor Watch sono finiti in cella per le loro denunce sulle condizioni di lavoro nelle manovie che producono per il brand Ivanka, dalla società della bionda imprenditrice si sono sentiti in dovere di prendere le distanze: “Non abbiamo rapporti con quella fabbrica dalla fine di marzo e collaboriamo solo con aziende che rispettano gli standard di lavoro riconosciuti a livello internazionale”. Secondo il Guardian, però, ci sono ancora dei lotti che in Cina producono per la figlia del presidente degli Stati Uniti: l’unico dubbio è se si tratti degli ultimi, o la relazione di fornitura è ancora in essere. Non finisce qui. Ancora il quotidiano britannico scrive che il brand di Ivanka affida alcune produzioni in Indonesia, dove gli operai guadagnano circa 6 dollari al mese: più economici ci sono solo il Bangladesh e la Mongolia.

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