La scarpa italiana tira il freno: export -7,2% nel terzo trimestre

La scarpa italiana tira il freno: export -7,2% nel terzo trimestre

Ora lo dicono anche i numeri. Le vendite rallentano e la scarpa italiana tira il freno. Nel periodo luglio-settembre l’export è diminuito del 7,2% in valore e del 12,3% in quantità rispetto all’analogo periodo di un anno fa. Sul fronte dei consumi interni, la spesa delle famiglie destinata all’acquisto di scarpe è scesa dell’1,5%. Successivamente, nel mese di ottobre e nella prima parte di novembre, complice il clima mite, le vendite sono crollate. Dall’inizio dell’anno al 30 settembre hanno chiuso 148 aziende. L’occupazione tiene (+2,1%), ma conta circa 1.000 addetti in meno rispetto al 2019.

La scarpa italiana tira il freno

“Dopo una partenza molto positiva, il 2023 si è chiuso in frenata anche a causa dei forti aumenti nei costi che hanno inciso sulla marginalità delle imprese” spiega Giovanna Ceolini, presidente di Assocalzaturifici. “Esaurito il rimbalzo post Covid, i ritmi di vendita hanno subìto un netto rallentamento che, innescatosi già in primavera, si è reso ancor più evidente nella terza frazione dell’anno”.

 

 

Giù USA e Germania, bene la Cina

La crescita del fatturato è passata dal +13,6% del primo trimestre, al +7,4% dei primi sei mesi del 2023, al +3% nei 9 mesi secondo il Centro Studi di Confindustria Moda. Stesso andamento per l’export: +16,1% nel primo trimestre; +8,9% nel primo semestre e +3,2% nei primi nove mesi dell’anno. In difficoltà USA (-21,7% in quantità e -7,4% in valore) e Germania (-16,6% nelle paia e stabile in valore). Tiene la Francia. Bene la Cina (+17,2% in volume e +12,2% in valore), mentre continua la ripartenza di Russia e Ucraina (+40% e +88% in valore), sebbene le vendite restino ancora al di sotto del periodo prebellico. L’Italia? -3,1% in volume, -1,3% in valore.

 “Un tema insostenibile”

Ceolini annuncia la proroga al 30 luglio 2024 della scadenza per presentare la domanda di riversamento spontaneo relativo al credito d’imposta di ricerca e sviluppo. Il Fisco lo contesta ad alcune imprese considerandolo indebitamente percepito. “Un tema spinoso che sta diventando insostenibile per le nostre aziende. È necessario quanto prima che sia approvato il decreto attuativo per la creazione degli albi dei certificatori accreditati per definire in maniera chiara cosa sia davvero inseribile a livello di ricerca e sviluppo. L’unica soluzione per garantire chi ha operato nel rispetto delle regole”. (mv)

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