L’export della scarpa italiana cresce (+3,4%): merito (anche) del terzismo per le griffe straniere, che vale il 60/70%

“Il conto terzismo è in aumento, peserà il 60-70% dell’industria calzaturiera italiana”. È la stima di Annarita Pilotti, presidente Assocalzaturifici, che per noi commenta (come potete leggere nell’ultimo numero del nostro settimanale) il +3,4% in valore registrato nell’export dalla calzatura italiana nel 2017. Una percentuale più alta, ad esempio, di quella ottenuta nello stesso anno dalla scarpa portoghese, ma che è influenzata in maniera sempre più importante dalle produzioni che i grandi (e non solo) brand internazionali affidano ai loro partner italiani. Alcune dinamiche confermano questo trend crescente. La Francia è il primo mercato per Veneto, Emilia Romagna, Puglia e Campania; è il secondo per la Lombardia, mentre la Svizzera, sede delle piattaforme logistiche delle maggiori griffe, è la principale destinazione della calzatura confezionata in Toscana e la seconda per la Campania. “Il conto lavoro, dalla licenza alla semplice produzione, è in aumento e attualmente potrebbe arrivare a pesare il 60-70% della produzione italiana” ha commentato Pilotti. “Macron sta cercando di richiamare le imprese francesi a produrre in Francia. Credo che questo richiamo possa riguardare altri settori, ma non quello della moda e della manifattura perché molte aziende transalpine hanno investito in Italia e stanno continuando a farlo. Hanno bisogno della produzione e delle abilità italiane. I francesi non possono avere il Colosseo: hanno la Torre Eiffel!” ha concluso la presidente di Assocalzaturifici che ha commissionato uno studio ad hoc per dimensionare e analizzare il fenomeno del conto terzismo. (mv)

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