Poco resiliente: il made in Italy secondo Jacopo Sebastio (Velasca)

Poco resiliente: il made in Italy secondo Jacopo Sebasto (Velasca)

“Ci siamo crogiolati, tutti, troppo sul made in Italy, che si è dimostrato un marchio poco resiliente in questo periodo”. Lo dice Jacopo Sebastio, co-fondatore di Velasca, azienda che oggi sviluppa circa 10 milioni di euro di vendite (quota export 30%). Sebastio ha spiegato come il suo brand abbia virato in pochissimo tempo la produzione dal formale al casual e convogliato le vendite dal fisico al digitale. Il 2020 si è chiuso con un fatturato inferiore del 10% rispetto all’anno precedente, ma Velasca prevede di superare quanto incassato nel 2019 già quest’anno. Obiettivo: decuplicare i volumi attuali.

Poco resiliente

“Il made in Italy – ha detto Sebastio durante la Pow Wow Fashion Tech Week – non è sufficiente per competere. Il progetto Velasca è nato anche un po’ per questo. Perché ci eravamo stancati di vedere americani e tedeschi venire in Italia a valorizzare i nostri prodotti”. Il co-fondatore del marchio di calzature ha spiegato come, durante la pandemia, a livello di comunicazione l’azienda abbia deciso di spostare il focus dal prodotto agli artigiani che collaborano con l’azienda. “Siamo riusciti ad incrementare quote di mercato grazie alla velocità con cui abbiamo cambiato rotta. Abbiamo puntato più sull’online, ma eravamo pronti per farlo. In una settimana abbiamo cambiato le collezioni da formali a casual per garantire gli ordini ai nostri fornitori”. Per Sebastio la pandemia ha offerto l’opportunità di sviluppare un nuovo business aziendale: “Nei prossimi 5 anni pensiamo all’espansione con un target di prodotti differente”.

 

 

Le prospettive di Velasca

Velasca è nato nel 2013 e, in 8 anni, è passato dal primo ordine di 125 paia di mocassini a una produzione annua di oltre 100.000 paia. I pellami sono in prevalenza italiani, mentre le scarpe vengono principalmente prodotte a Montegranaro (Fermo). I progetti futuri sono indicati nell’intervista che Sebastio ed Enrico Casati (l’altro co-fondatore) hanno rilasciato a economymagazine.it. “Vogliamo andare all’estero, continuare ad affacciarci ai mercati prima online e poi con le botteghe (11 quelle attuali). La nostra idea è di attendere il rimbalzo del mercato per poter lanciare la collezione da donna”. Il duo è ambizioso. Infatti, indicano Church’s e Tod’s come competitor. “Noi abbiamo una qualità comparabile alla loro, ma un prezzo più competitivo”. (mv)

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