Romania e Albania, i costi bassi convengono solo a chi delocalizza: gli operai emigrano e in fabbrica manca manodopera

I nuovi flussi migratori rallentano calzatura e imbottito in Albania e Romania. A Tirana e nelle province limitrofe l’industria della scarpa e dell’abbigliamento dà attualmente lavoro a circa 100.000 persone, ma il numero sta calando e anche gli imprenditori iniziano a segnalare la difficoltà nel reperire manodopera. Negli ultimi cinque anni il Paese ha infatti conosciuto una nuova ondata migratoria secondo la più recente relazione della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS). AlbaniaNews riporta che il costo del lavoro è 10 volte inferiore rispetto alla media dell’UE. Secondo i dati pubblicati da Eurostat, i lavoratori albanesi avevano un salario minimo mensile di 210 euro nel 2018, il più basso in Europa. Nell’area balcanica le medie sono di 282 euro in Macedonia, 288 per il Montenegro e 308 in Serbia. I salari troppo bassi, se da un lato hanno attirato le imprese della manifattura (che lavorano anche per il mercato italiano) dall’altro lato inducono i giovani albanesi a cercare fortuna altrove.
Anche a Bucarest
Dinamiche simili stanno investendo anche la Romania, dove il numero di addetti impiegati nell’industria del mobile è sceso del 2% tra il 2016 e il 2017 e di un ulteriore 3% nei primi 5 mesi del 2018. Nel Paese balcanico l’operaio di un mobilificio guadagna circa 1.800 Lei al mese, poco più di 380 euro, mentre il salario medio è di 2.700 Lei, circa 580 euro. Ecco perché molti dipendenti, mentre nel Paese aprivano la propria sede grandi aziende come Polipol, Natuzzi, Parisot e Rom, hanno preferito emigrare. La prima ripercussione è che molte imprese locali, come evidenziato dall’Associazione dei produttori romeni di mobili (AMPR), non sono riuscite ad avere lo sviluppo programmato. (mv)

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