Pelle green: chi la fa, chi ne parla, chi fatica a capirne

Pelle green: chi la fa, chi ne parla, chi fatica a capirne

Che si parli tanto di pelle green a noi, da osservatori dei fatti della filiera della moda, non può fare che piacere. Meno piacevole è assistere al pot pourri dove, tra iniziative encomiabili e riflessioni per lo meno argomentate, si insinua chi il tema della sostenibilità della moda lo piega alle proprie necessità di marketing. Anche la rassegna stampa della settimana ci offre spunti in questo senso.

 

 

Consigli di lettura:

  • Mulberry ha dalla sua un consolidato impegno per la sostenibilità: quindi quando parla di pelle green c’è da credergli. L’ultimo sforzo del brand britannico è nella direzione dell’impatto zero: la collezione Lily Zero è “carbon neutral”. La pelle secondo la stampa internazionale la fornisce una conceria tedesca;
  • A proposito di stampa internazionale, mutuando l’espressione dal giornalismo politico, Guardian dedica un approfondimento a quella che definisce “alt leather” (dove alt sta per “alternative”). Il quotidiano britannico fa riferimento alle alternative alla pelle naturale oggi molto in voga: quelle bio-base, cioè realizzate a partire da una matrice vegetale, e quelle coltivate in vitro. L’analisi presenta i vizi e le virtù soliti di questo tipo di approfondimenti. Non comprende il rapporto tra zootecnia e concia: i bottali non si fanno carico dell’impatto ambientale degli allevamenti, ma al contrario lo alleggeriscono riqualificando uno scarto. Ma almeno il Guardian solleva le giuste perplessità sulle alternative in commercio. Vale la pena dargli una letta;
  • Chiudiamo, invece, su chi si infila nel dibattito sulla sostenibilità della moda per fare ammuina. Spiace dirlo, ma è il caso di Nespresso. Che decide di investire nella trasformazione dei fondi di caffè in materiali per la moda. E unisce le forze con il brand Zèta per le sneaker in “vegan coffee leather” (sic!). Ci mancava solo questa.

 

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