Tanzania, tasse alte, dazi, ausiliari chimici di scarsa qualità: malgrado il potenziale, l’area pelle è in crisi

La filiera pelle della Tanzania fa gola

Il problema, riporta la stampa locale, è emerso durante un convegno sull’area pelle svoltosi nella capitale Dodoma. Perché la pelle della Tanzania risulta di qualità così scadente? Molto dipenderebbe dal fatto che la maggior parte dei conciatori utilizza una sostanza chimica chiamata “Jaba“, utile per rimuovere l’epidermide dalle pelli in fase di riviera. Tale sostanza, importata soprattutto da Cina e Kenya, sarebbe però di bassa qualità e, proprio per questo, costerebbe molto meno dei prodotti chimici venduti nel Paese, sui quali grava tassazione elevata. Un bel problema. Anche perché imposte troppo alte sarebbero anche quelle che devono pagare i produttori dell’intera filiera. Un’extra-costo che determina il successo sul mercato locale di beni in pelle d’importazione, su tutti le calzature, acquistate dalla Cina e dall’Asia sudorientale. Complessivamente si stima che la Tanzania importi dai paesi asiatici tra le 31.000 e le 42.000 paia di scarpe ogni anno, di cui però solo il 3% sarebbe realizzato in vera pelle. Un paradosso se si pensa che la Tanzania è il secondo Stato africano per numero di capre, pecore e mucche di cui viene oggi utilizzato solo il 50% delle pelli, riporta The Sauer Report. Per tentare di arginare il problema, la commissione parlamentare permanente per l’agricoltura, il bestiame e l’acqua (PCALW) starebbe promuovendo l’utilizzo di materiali nazionali. Da un lato sarebbe pronta a sostenere la formazione di operai specializzati e dall’altro sarebbe intenzionata a spingere istituzioni pubbliche come i corpi di polizia, l’esercito e le scuole ad acquistare calzature in pelle realizzate in Tanzania con pellame locale. (art)

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