Kering vs Alibaba: primo round ai cinesi. Amazon tassa chi vende per punire chi copia

In assenza di prove circostanziate, il Tribunale distrettuale di Manhattan rigetta la prima parte della denuncia che il gruppo Kering (nella foto a sinistra, il patron Francois Pinault) ha presentato lo scorso maggio contro Alibaba (nella foto a destra, il CEO Jack Ma), big cinese delle vendite online. La holding francese accusa il portale di favorire consapevolmente il commercio di prodotti contraffatti sui suoi canali (specialmente Taobao). Secondo la giuria newyorchese, però, mancano gli elementi per sostenere che tra il management del portale cinese e i venditori che vi operano vi sia un accordo: “La frode perpetrata da ciascun venditore imputato – ha argomentato il giudice – poteva essere realizzata senza l’aiuto di uno degli altri venditori imputati”. La querela, sfociata in una guerra a distanza che la scorsa primavera ha impedito l’ingresso di Alibaba nell’IACC, l’istituto internazionale per la lotta alla contraffazione, non termina però qui. Per evitare spiacevoli imprevisti, intanto, Amazon appronta una barriera all’ingresso contro i falsari. Chi vuole vendere prodotti sul portale di Jeff Bezos deve pagare un’iscrizione che varia da 1.000 a 1.500 dollari e mostrare la fattura che certifica l’acquisto della merce da grossisti o rivenditori autorizzati. A rivelarlo è l’emittente USA CNBC. Amazon chiederebbe questa tassa a chi vuole vendere prodotti Adidas, Asics, Hasbro, Nike e Samsung oltre ad una fattura non più vecchia di 90 giorni e indicante l’acquisto di almeno 30 elementi, di cui almeno 5 tipologie diverse. La decisione di Amazon, che ha confermato l’indiscrezione giustificandola come una protezione per i propri clienti, sarebbe stata presa anche valutando l’annuncio del tedesco Birkenstock che, a partire dal primo gennaio 2017, non metterà più in vendita i suoi prodotti su Amazon, né direttamente né tantomeno attraverso negozi di terze parti. (rp/mv)

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