Il furbo carnevale di Stella McCartney e la banalità del suo slogan

Il furbo carnevale di Stella McCartney e la banalità del suo slogan

Alla Paris Fashion Week, lo scorso 2 marzo, è andato in scena il furbo carnevale di Stella McCartney. La stilista britannica, oltranzista dell’animal free, sta progressivamente alzando il tiro della sua guerra alla pelle e a Parigi ha mandato in passerella, insieme ai capi dell’ultima collezione, modelli travestiti da animali. E ha associato il tutto all’invito che vedete a sinistra nella foto e a uno slogan quanto mai ovvio e banale: “Make love not leather”.

Il furbo carnevale

Mandare in passerella modelli travestiti da conigli, lupi, mucche, volpi etc ha avuto, per la stilista britannica, un significato preciso. Quello di ribadire il suo credo: “Siamo orgogliosamente l’unico marchio del lusso al mondo a non impiegare vera pelle nei nostri show. Siamo felici se gli altri amici della moda vorranno seguire il nostro esempio”. Una sorta di giocosa rivendicazione (che nelle sue parole, però, così giocosa non è mai, anzi, tutt’altro…) del suo modo di intendere il rispetto per gli animali. Uno show carnevalesco che, in una certa misura, ha spostato su parecchie testate l’attenzione dalla presentazione tout court delle nuove collezioni della stilista britannica.

Un invito banale (e non solo)

Per Stella McCartney gli animali sono la priorità. Si evince dall’invito alla sua sfilata. La GIF animata di un toro che ingroppa una mucca corredata dallo slogan “Make love not leather”. La noiosa banalità del messaggio si salda a una scelta che a noi pare di cattivo gusto. Soprattutto perché, dietro alla battaglia senza quartiere della stilista contro la pelle, si celano alcune opacità. Per esempio, quella di ritenere la sua scelta vegana migliore, superiore e più sostenibile di qualsiasi altra. Ma, anche, il disinteresse per un sistema di filiera, quello della pelle, che sostiene varie forme e livelli di benessere sociale. Un benessere che, però, non riguarda gli animali, ma gli esseri umani.

 

 

Un certo cappotto fatto in Ungheria

E qui occorre fare riferimento a quanto accaduto a novembre 2019. Ne abbiamo scritto sul numero di gennaio del mensile La Conceria. Ad accendere la miccia fu la testata inglese Daily Mail. Oggetto della polemica: il cappotto indossato da Meghan Markle, Duchessa di Sussex durante il Remembrance Day, l’11 novembre 2019. Cappotto griffato Stella McCartney, la quale pubblicò sui social una foto della Duchessa con il suo capospalla. E si disse “onorata che la scelta fosse ricaduta su un suo capo d’abbigliamento”. Foto e commento ritirati in tutta fretta a causa della shit storm scatenata da una scoperta del Daily Mail: “Quel cappotto, il cui prezzo di listino supera le 1.500 sterline, è stato prodotto nello stabilimento di Beriv, nella città di Berrettyoujfalu. Si trova nell’Ungheria orientale, una delle regioni più povere del Paese, vicino al confine rumeno. Ed è stato prodotto da lavoratori ungheresi che guadagnano soltanto 2,60 sterline l’ora (circa 3 euro, ndr)”.

Nelle immagini: a sinistra l’invito alla sfilata di Stella McCartney, a destra screenshot tratto da theguardian.com

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