Il Made in Italy cresce, ma non come la concorrenza, scrive Brand Finance: rischia di restare fuori dai giochi

Partiamo dal bicchiere mezzo pieno. Dopo essere cresciuto del 33% su base annua nel 2017, il valore aggregato del brand Made in Italy nel 2018 guadagna un ulteriore +9%, si porta a oltre 2.000 miliardi e scala una posizione in classifica, piazzandosi ottavo nel ranking mondiale. Bene, ma non abbastanza per stare tranquilli, perché c’è un bicchiere mezzo vuoto da tenere in considerazione. Secondo Brand Finance, agenzia di consulenza che ogni anno pubblica il Nation Brand (analisi del valore complessivo delle etichette nazionali tenendo conto di tutti i comparti produttivi – non solo la moda, quindi –, della qualità dei servizi e delle amministrazioni), lo Stivale rimane lontano dal podio e, soprattutto, dai diretti concorrenti. Per capire i numeri in gioco, in cima alla graduatoria si trovano gli USA (+23%) con un’etichetta nazionale che sfiora i 30.000 miliardi. Seconda si piazza la Cina (+25%) con 13.000 miliardi, mentre la Germania è terza nel mondo e prima in Europa, forte di un +28% e di una valutazione di circa 5.000 miliardi. La Gran Bretagna (+20%) supera il Giappone (+5%) e si piazza quarta. Precedono l’Italia anche Francia (+9%) e Canada (+8%). Dal momento che la classifica è dinamica, legata a questioni congiunturali, alla volontà dei sistemi di migliorarsi e, soprattutto, al modo in cui questi sono percepiti dagli attori domestici e internazionali, l’Italia non può accontentarsi. Massimo Pizzo, direttore di Brand Finance Italia, ha spiegato ad Affari & Finanza (inserto economico de la Repubblica) che “è come se fossimo al punto zero, in cui riveste una particolare importanza rafforzare l’immagine perché torni ad essere un fattore di propulsione per l’intera economia”. A pagarne lo scotto, altrimenti, saranno le piccole e medie imprese, che rischiano di rimanere un passo indietro nella competizione globale.

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