Il caso Ralph Lauren: il ceo abbandona, lo stilista arriva, le vendite calano, “il risparmio continua”, ma il titolo affonda

La situazione è talmente intricata che richiede di essere riassunta. Partiamo dalla fine. Giovedì scorso, Stefan Larsson (nella foto) si è dimesso da ceo di Ralph Lauren. In un periodo (ormai lunghissimo) in cui le griffe cambiano manager e creativi, non è, di per sé, una notizia clamorosa. Larsson, però, era in carica dal novembre 2015 ed era stato cooptato nell’impresa di ridare fiato a una situazione piuttosto compromessa e che, per portare al risparmio di una cifra compresa tra 180 e i 220 milioni di dollari, aveva avviato una ristrutturazione onerosa: chiusura di negozi, licenziamenti, riposizionamento del marchio. Quest’ultimo aspetto racchiude, forse, il nucleo dei disaccordi che hanno portato alla repentina uscita di Larsson. Dichiara il fondatore/stilista Ralph Lauren: “Stefan e io condividiamo l’amore e il rispetto per il brand ed entrambi abbiamo riconosciuto la necessità di evolvere. Abbiamo però capito di avere delle visioni differenti su come farlo”. La sensazione era infatti che Larsson stesse spostando l’asse di Ralph Lauren verso un’idea di fast fashion (da dove, del resto proveniva, essendo stato manager di H&M). Il tutto, mentre i conti aziendali continuavano e continuano a soffrire. Nel terzo trimestre fiscale i ricavi hanno perso il 12%, chiudendo a 1,7 miliardi di dollari. All’estero le vendite sono calate del 6%, oltre il doppio (-15%) in Nord America. Male anche gli utili: 82 milioni di dollari contro i 131 milioni dell’anno scorso. Previsioni sull’intero esercizio: diminuzione del fatturato in doppia cifra. Nel frattempo, in azienda è arrivato un nuovo direttore stilistico, Kevin Carrigan (ex Calvin Klein), che supervisionerà la collezione donna della griffe e lo sviluppo del marchio Chaps. Ma il titolo a New York non smette di soffrire. Le dimissioni di Larsson gli hanno fatto perdere in una seduta il 12.32%.

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