I super-vincenti nel mercato super-polarizzato: McKinsey taglia le stime di crescita per il 2019, non per il lusso

Sembra poco, ma non lo è. Il taglio di 0,5 punti percentuali della prospettiva di crescita dell’industria della moda nel 2019 significa complicare ancora di più un mercato che stava “rimbalzando in area positiva dopo un periodo debole”, ma che va incontro a un nuovo periodo di turbolenze. E allora quando McKinsey nell’ultima edizione del suo State of Fashion, report annuale elaborato per Business of Fashion, scrive che la proiezione di sviluppo dell’industria della moda passa dalla forbice del +4-5% a quella del +3,5-4,5% già stila dei verdetti. Perché l’andamento vedrà complicazioni peculiari per segmento e per area geografica. Il best-performing segment” è il lusso, che conferma la posizione in fascia +4,5%+5,5%, mentre “le prospettive del affordable luxury (+3,5-4,5%) appaiono più frammentarie” e quelle del premium retrocedono al +2,5-3,5%. Allo stesso tempo nell’anno alle porte avranno vita facile i brand con forti posizioni nei mercati emergenti dell’Asia Pacifico, mentre da quelli maturi di Europa e Nord America ci si attende un rallentamento. A proposito di brand, McKinsey nella sua analisi (compiuta raffrontando i bilanci di 500 aziende pubbliche e private) individua due categorie: i marchi “value destroying”, raddoppiati negli ultimi 8 anni, e i “super-winner”, cioè l’élite del “20% delle aziende in grado di attrarre il 128% del profitto nel 2017”. Chi rientra nel novero? I mostri sacri del lusso, come Kering, Hermès e LVMH, ma anche i giganti della sportiva (Nike e Adidas) e del fast fashion (Inditex e H&M).

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