Il lusso alza ancora i prezzi e a bilancio tutela almeno gli utili

Il lusso alza ancora i prezzi e a bilancio tutela almeno gli utili

È interessante incrociare le letture delle analisi di UBS, Citi e Bernstein. Perché ne emerge un quadro chiaro delle strategie delle griffe. In un contesto di generalizzata contrazione, il lusso alza ancora i prezzi: per quanto gli osservatori denuncino l’impopolarità del gesto, nessuno si sottrae. E si capisce pure il perché. Per la ripartenza generalizzata del business si aspetta il 2026, ma intanto si difendono gli utili e si interviene sulla produttività del personale.

Il lusso alza ancora i prezzi

È il Luxury Pricing Tracker, ovvero il monitor periodico di Citi Group sui listini, a tenere traccia dell’ascesa dei prezzi. L’ultimo aggiornamento (su un campione di 19 marchi in 6 mercati in grado di rappresentare il 70/80% delle vendite globali) dice che le priorità ora sono due: mitigare l’effetto dei dazi negli States e intervenire sulle differenze di listini tra le diverse geografie. Su queste basi si è assistito a giugno al +7% di Gucci sul 35% dell’inventario e al 4+% di Prada sul 25% dell’assortimento. Il trend è simile, rimanendo al campo del fashion, tra i marchi in salute e quelli in difficoltà: Chanel ha ritoccato all’insù del 4% il 14% del catalogo, così come Bottega Veneta del 7% il 5% del suo.

 

 

Stringere i denti per gli utili

Sia chiaro: la nota di UBS (di cui scrive MFF) vede la ripartenza del lusso ancora lontana. “Una ripresa significativa della crescita, e quindi degli utili, difficilmente si verificherà prima della seconda metà del 2026”. A proposito di marginalità, però, qualcosa di buono si può vedere anche prima: “Prevediamo che Burberry e Richemont sorprenderanno positivamente all’inizio della stagione degli utili – portano ad esempio –, in partenza il 10 luglio con i risultati di Brunello Cucinelli”. D’altronde, la questione si lega a doppia mandata, nota Bernstein, con la produttività del personale: il valore si lega contemporaneamente alla redditività dell’azienda e all’efficienza del retail (nonché alla qualità delle remunerazioni). Il gruppo di analisti guidato da Luca Solca osserva come sia Hermès (non a caso tra le maison più in salute) quella che ha registrato la maggior crescita della produttività del personale, così come bene ha fatto il Gruppo Prada negli ultimi tre anni (grazie anche al traino di Miu Miu). Mentre Richemont, Moncler e LVMH si pongono in una zona intermedia di risultati buoni (ma non eccellenti) nel campo tra il 2022 e il 2024, Kering e Burberry nello stesso lasso di tempo hanno visto i valori peggiorare.

Foto Shutterstock

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