Per Bain le griffe devono scegliere: élite o grandi numeri?

Per Bain le griffe devono scegliere: élite o grandi numeri?

Il 2025 non è un anno qualunque per il mondo del lusso. È un momento di passaggio strategico che costringe il settore a ridefinire priorità e visioni. A delinearne le prospettive ci ha pensato Claudia D’Arpizio, partner di Bain & Company, intervenuta alla terza edizione del Change Maker, organizzata da Zalando e CNMI. Un’occasione per riflettere su un mercato che, dopo l’impennata post-pandemia, si trova ora in una fase di riassestamento. Anche se una cosa è certa: le griffe devono scegliere tra gli ultra-ricchi e i grandi numeri. “Non è facile oggi definire come sarà il futuro del lusso – ha dichiarato –. Abbiamo provato a rispondere alla domanda che molti operatori si pongono: quanto di questo cambiamento è strutturale e quanto invece è semplicemente difficile?”.

Le griffe devono scegliere

D’Arpizio pone una serie di questioni, alla luce di un settore che dopo anni di espansione ha cominciato a rallentare. Come riporta Fashion Magazine, per l’analista, il vero punto di svolta è la trasformazione del lusso in una categoria fortemente emotiva, tanto da assumere una definizione diversa. “Le persone comprano lusso per quattro motivi principali: gratificarsi, vivere un’emozione, segnare un momento importante della loro vita o come forma di investimento. Questa non è una categoria funzionale, ma emotiva”. Tanto che “oggi il vero competitor è l’intero universo dell’investimento personale. Si può scegliere tra una borsa, una cena stellata, un viaggio, un orologio. Tutto risponde allo stesso bisogno: sentire di valere”.

 

 

Pochi o tutti?

Ai marchi, quindi, non basta più offrire esclusività o qualità, quanto significato, autenticità e valori. Anche perché, secondo D’Arpizio, nei prossimi dieci anni 300 milioni di nuovi consumatori del lusso, trainati dalla crescita delle classi medie e alte in Asia, America Latina e altri mercati emergenti irromperanno sulla scena. Una platea ampia e diversificata, che impone una riflessione strategica: “Vogliamo servire una nicchia ultra-esclusiva o un pubblico più ampio? I marchi devono scegliere ora a chi parlare, con quale tono e con quali valori”.

Minimalismo in vista

Per l’analista, sarebbe in atto anche un cambiamento di gusti, soprattutto nei giovani che ormai propendono verso minimalismo e consumo più oculato. “Oggi lo vediamo crescere – dice – un consumo meno impulsivo, più legato al significato. Dobbiamo rispondere con cultura, prodotti che abbiano un senso e un legame profondo con valori duraturi”.

Il nodo distribuzione

Il cambiamento non riguarda solo il prodotto ma anche il modo in cui viene distribuito, tra monomarca e multimarca. “I consumatori vogliono entrambi. Desiderano selezione, consiglio e prossimità. La sfida è offrire una customer experience fluida, integrata, capace di fondere fisico e digitale in un’unica narrazione coerente”. Secondo D’Arpizio è finita l’era del direct-to-consumer come unica strategia. È il momento di una visione sinergica, fatta di alleanze tra brand, retailer e piattaforme capaci di amplificare l’esperienza. “Il futuro è un continuum tra online e offline. I clienti non ragionano più per canali: vogliono coerenza e connessione”.

Foto Saint Laurent

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