Prada al “punto di svolta”, Dior corre come Bolt, Hugo Boss inciampa

I ricavi giù del 18,4% (da 1,824 miliardi di euro a 1,554). L’utile netto che cala del 24,7%, passando da 188,6 a 141,9 milioni di euro. L’Ebitda che segna una flessione del 25%, attestandosi a circa 330 milioni di euro. Zero euforia e molta apprensione per Prada, che però commenta i dati negativi del semestre fiscale chiuso il 31 luglio, definendoli in linea con la consapevolezza che il 2016 sarà “un punto di svolta importante” e prevedendo per il prossimo anno un ritorno alla crescita. Il management attribuisce le difficoltà alle flessioni delle vendite in Cina e in Italia, ma il presidente Carlo Mazzi ha sottolineato come alcune azioni strategiche (come la razionalizzazione del network commerciale internazionale) stiano già riportando la griffe “stabilmente sulla strada di una crescita sostenibile di ricavi e utili, che si vedrà dal 2017″. Le vendite nei negozi a gestione diretta (canale DOS) sono calate del 17,8% (1,28 miliardi di euro): -22% nel Far East, -21% in Italia. Christian Dior, gruppo del lusso che controlla più del 40% di LVMH, invece corre come Usain Bolt. I francesi hanno comunicato i dati di bilancio dell’esercizio annuale, chiuso il 30 giugno. Grandi numeri per una performance in crescita strutturale. Fatturato: 38 miliardi di euro, +8%. Stesso aumento per il risultato operativo, pari a 6,8 miliardi di euro, mentre l’utile netto è schizzato del 18%, arrivando a 1,6 miliardi di euro. Positivo il trend di Christian Dior Couture, che ha chiuso l’anno fiscale con 1,85 miliardi di euro di ricavi, +5% a tassi di cambio correnti e +2% a tassi costanti. Destino opposto per Hugo Boss, il cui management ha dichiarato che il secondo trimestre 2016 è stato “very difficult”. Definizione fin troppo generosa, considerato che i profitti netti del gruppo sono crollati dell’84%, atterrando a quota 11 milioni di euro, cifra sensibilmente inferiore ai 36 milioni di euro previsti dagli analisti. Vendite giù del 4%, per un valore di 622 milioni di euro, 11 in più rispetto alle aspettative, ma pur sempre in calo. A fronte di questa situazione, il nuovo CEO Mark Langer ha annunciato che, ai 20 negozi che saranno chiusi in Cina se ne aggiungeranno altri 20, avviando la rifocalizzazione del business sul mercato statunitense. Riviste anche le previsioni sul 2016: da un’iniziale attesa di crescita, Hugo Boss punta, nella migliore delle aspettative, a confermare il fatturato dell’anno scorso.

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