La moda alla ricerca del nuovo. C’è chi lo cerca nel formato, chi nella costruzione, chi nel sistema. Il nuovo è diventato il vero campo di battaglia della moda contemporanea. Non è più una questione di stile, ma di struttura. Non basta evocare il passato, replicare codici, citare sé stessi. Come ha detto il nuovo CEO di Kering, Luca de Meo: “Bene gli archivi, ma bisogna inventare il nuovo”. E oggi, ogni marchio lo cerca a modo suo. Gucci lo ha fatto trasformando la sfilata in un film, lavorando su uno storytelling altro. Glenn Martens, invece, dopo le fatiche da Maison Margiela si è lanciato in una capsule per H&M che porta nel fast fashion la costruzione concettuale del suo linguaggio. Mentre Shein, con una sfilata che sembra nuova per il suo segmento, ha celebrato la community italiana come fosse un rituale urbano. Tutti, insomma, cercano di colpire nel segno. Ma la moda resta in ritardo.
La moda resta in ritardo
Durante l’ultima fashion week di Milano, Gucci ha scelto il linguaggio del cinema. E stando a quanto successo suisocial, pare abbia vinto. Non solo per le 562 milioni di impressioni, come riporta Fashion Magazine. Ma per la capacità di convertire l’hype in azione. Il Cultural Currency Index lo ha premiato con il punteggio massimo. The Attico, invece, ha fatto il contrario: niente show, solo una manciata di creator e una borsa esaurita in pochi giorni. Diesel (sempre ad opera del direttore creativo Glenn Martens) ha provato a giocare con la città, organizzando una caccia al tesoro in cui il tesoro erano proprio gli abiti. Ma il live streaming frammentato ha reso l’esperienza sterile. Il nuovo, quindi, è impatto. Ma come sottolineano i numeri online, funziona solo se trova il suo ritmo.
Due piedi in una scarpa
Glenn Martens, va detto, è stato l’unico che in questa stagione ha affiancato il nuovo a vecchi metodi che sembravano “consolidati” o superati. Il designer ha infatti firmato una capsule per H&M fatta di silhouette trasformabili, texture manipolabili, tecniche che sembravano impossibili da industrializzare. Eppure, come sottolinea sul Corriere della Sera Sofie Johansson, creative advisor del brand svedese, “con lui ci siamo riusciti”. Nella capsule disponibile dal 30 ottobre, Martens non ha semplificato, ha stratificato. Democratizzando, in un certo senso, la sua visione. Va detto però che gli innesti tra direttori creativi e fast fashion non sono proprio una ventata d’aria fresca né una novità. Negli ultimi anni la ricerca di un “nuovo target cliente” ha portato a contaminazioni che spesso sembravano assemblate in laboratorio. Salvo essere diverse per metodi produtttivi e creatività. Sfumando ancora di più i confini tra lusso e segmenti inferiori.
Il nuovo come sistema
Una sorta di capovolgimento che ha interessato anche Shein. Il colosso del fast fashion ha celebrato a Milano la sua community con “The Urban Ritual”, una sfilata che è diventata riconoscimento collettivo. Una novità per un marchio del genere, che si è anche impegnato in un nuovo modello produttivo: piccoli lotti, supply chain digitalizzata, produzione on-demand. Tutte cose, però, già viste, rimescolate con urgenza. Il nuovo c’è, ma non basta evocarlo, e per costruirlo davvero bisogna investire nelle persone (o nei clienti) e sulle idee, partendo dal basso. Altrimenti resta solo un altro formato del passato.
Foto Diesel
Leggi anche: