India, la svalutazione della rupia brucia migliaia di posti di lavoro nella concia. Il Gange è un fiume di cromo

Migliaia di posti di lavoro a rischio. L’8 novembre il premier indiano Narendra Modi ha annunciato il ritiro di tutte le banconote da 500 e 1.000 rupie (i tagli più diffusi, pari a circa 7 e 15 euro), da considerarsi da subito fuori corso. Il capo del Governo allo stesso modo ha comunicato che c’è tempo fino al 30 dicembre per cambiare le banconote in circolazione, che dal primo gennaio vanno considerate carta straccia. Nel giro di pochi giorni la valutazione della rupia è crollata in maniera verticale. Nelle ultime settimane nelle grandi città e nelle aree rurali si è assistito all’assalto a bancomat, sportelli bancari e uffici postali da parte di cittadini che, quando non riescono a cambiare il denaro in maniera legale, si affidano ai canali illeciti. La mossa valutaria, che nelle intenzioni del Governo doveva rappresentare un colpo alla corruzione, si è rivelato un autogol che ha messo in ginocchio il sistema manifatturiero, dove gli operai sono spesso pagati in contanti giorno per giorno. La crisi della liquidità ha paralizzato pagamenti e produzione. Secondo stime riprese da The Sauer Report, in settori come la concia, la pelletteria, il tessile, l’abbigliamento e la gioielleria sono circa 400.000 i posti a rischio, mentre trema il 20-25% degli addetti ai lavori dell’industria della concia. Come se non bastasse, continua l’emergenza inquinamento per il Gange. Il National Green Tribunal (NGT, la corte che giudica sui reati ambientali) sta esaminando gli impianti di trattamento delle acque reflue dei cluster conciari per individuare i responsabili degli alti livelli di concentrazione del cromo nel fiume sacro indiano. Già a settembre un report dell’India’s Central Pollution Control Board denunciava che le industrie della pelle, insieme al tessile, alle cartiere, ai pastifici e agli zuccherifici, scaricavano ogni giorno 212,42 milioni di litri di acque inquinate nel Gange. (rp)

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