Qual è l’impatto ambientale di una scarpa da donna décolleté in pelle? La risposta arriva da un progetto sperimentale promosso dalla Regione Emilia Romagna e condotto da Ervet (i ricercatori Alessandro Bosso e Guido Croce), in collaborazione con la scuola internazionale del Cercal. L’iniziativa ha coinvolto 5 aziende del territorio calzaturiero di San Mauro Pascoli unico distretto della scarpa coinvolto in Italia: due calzaturifici (Casadei e Pollini), 1 suolificio (Giglioli), 1 tacchificio (Zanzani), 1 tomaificio (Smarth Leather). “L’obiettivo dell’iniziativa, che studia tutte le fasi di produzione di una scarpa (dall’allevamento bovino allo smaltimento del prodotto a fine vita), è quello di fornire dati concreti e oggettivi sull’impatto dei consumi idrici, energetici e in fatto di emissioni di gas a effetto serra – afferma Alessandro Bosso di Ervet – Uno strumento di comunicazione per le imprese e il territorio, che presenta in modo trasparente ed affidabile le prestazioni ambientali dei prodotti”. “Secondo l’analisi l’impatto ambientale di una calzatura da donna décolleté in pelle è piuttosto limitato – ha affermato Guido Croce – Una calzatura di quel tipo, dalla culla alla morte, determina emissioni di 24,5 kg di CO2; se si pensa che le emissioni di CO2 per un passeggero che sale su un’auto sono di 76 kg, è evidente il basso impatto”. Questa iniziativa vuole essere il punto di partenza per l’eco-design di un prodotto, consente infatti di individuare le fasi più impattanti del processo e di riprogettare la scarpa adottando soluzioni maggiormente sostenibili. (ff)
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