Il Bisonte ve lo racconto io: Wanny Di Filippo parla del “suo” brand

Cucì la sua prima borsa in Sardegna, in un modo per certi versi avventuroso. Soprattutto perché lo fece uscendo dal proprio ambito professionale e per ragioni esclusivamente personali. Inizia così il memoir (pubblicato dal Corriere della Sera) di Wanny Di Filippo, fondatore (e oggi presidente onorario) del marchio Il Bisonte da pochi giorni entrato nell’orbita dei giapponesi di Look Holdings.

Quella volta in Sardegna
Tutto comincia quando “ho cucito la prima tracollina, piatta come quella degli indiani, con due pelli di vacchetta e l’ho regalata a mia moglie” racconta Di Filippo al Corriere della Sera. Successe in Sardegna, dove stava girando per lavoro, visto che era rappresentante di ricambi meccanici.

Tutto esaurito a Pitti
Quella tracolla, però, piace talmente tanto al proprio giro di amicizie e conoscenze, che  Di Filippo ci prende gusto, apre il primo laboratorio a Palazzo Corsini (Firenze) e partecipa a Pitti dove, durante il primo giorno di fiera, vende tutto.

L’ultima operazione
Se quegli erano gli inizi del brand, le sue ultime evoluzioni societarie sono quelle che ne celebrano il successo. Di Filippo racconta al CorrSera di quando, nel 2015, ha ceduto il marchio al fondo britannico Palamon, decisione presa dopo un incidente automobilistico. Operazione che va considerata come il preludio a quella, recentissima, che ha visto Il Bisonte passare sotto il controllo della società giapponese Look Holdings.
Il tutto, dopo aver consolidato il bilancio e aumentato l’occupazione da 70 a 140 addetti diretti (“Alcuni sono con noi fin dagli anni ’60/’70”), a cui si aggiungono quelli in forza ai 40 laboratori locali dell’indotto.

La vacchetta colore 120
La filosofia “Km 0” è la forza del brand. “Le pelli che utilizziamo provengono dal distretto conciario di Santa Croce sull’Arno e anche accessori metallici e fili sono made in Toscana”. A proposito di pelli, il CorrSera, sottolinea come “il fiore all’occhiello” del brand sia “la vacchetta colore 120, tinta neutra ottenuta con il tannino del quebracho. Col tempo si abbronza e diventa più bella, l’usura la personalizza”. Non solo. Il quotidiano precisa (fortunamente, ci vien da dire) che “sono pelli che provengono dall’industria alimentare. Se non fossero riutilizzate inquinerebbero l’ambiente”.

La “regola di Wanny”
Da Il Bisonte, ogni nuova borsa, per passare “dal disegno alla produzione, si realizza in salpa, si vede se funziona e si trasferisce sul CAD per campionatura e produzione in serie”. Un processo che richiede un passaggio in più: deve sottostare alla “regola di Wanny”. Recita così: “Il prodotto deve essere funzionale”.

L’ultima novità (che in realtà è “antica”)
Tra le novità dell’ultima collezione c’è la pelle bagnata e stirata su una forma di legno.  La sua essiccazione, poi, avviene replicando un antico processo di lavorazione che prevede, alla fine, la tintura a mano. “C’è solo un artigiano che lo sa fare: non trova nessuno che voglia lavorare con lui” conclude Di Filippo. (mv)

Immagine tratta da stories.ilbisonte.com

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