Forse non è chiaro che sull’esotico è una battaglia di civiltà

Forse non è chiaro che sull’esotico è una battaglia di civiltà

Sulle pelli esotiche si prepara una battaglia di civiltà. Già, perché l’area veg militante sogna di applicare a rettile, struzzo & co lo stesso trattamento riservato negli ultimi lustri alla pelliccia. Vale a dire un processo di condanna morale e di “criminalizzazione” della filiera che ha spinto il materiale, un tempo sinonimo di lusso, in una strana condizione di nicchia. BoF definisce la spinta di associazioni come PETA, che da anni fa pressioni sulle griffe e ora torna alla carica sull’argomento con una campagna (in foto), “un effetto domino”. Al momento solo auspicato, per fortuna. I veg aspettano che qualcuno dia alla reputazione delle pelli esotiche la spallata che Gucci diede alla pelliccia nel 2016. Quel qualcuno ancora non si vede. E speriamo non si veda mai, per il fashion business, certo. Ma anche (non ci crederanno i nostri antagonisti) per l’ambiente.

L’analisi di BoF

Nel focus di BoF ci sono una notizia positiva e una negativa. La positiva è che, finora, i gruppi del lusso si sono rivelati tetragoni alle pressioni vegane. Molti impiegano le pelli esotiche e le ritengono essenziali per il posizionamento d’alto livello delle collezioni. Molti (soprattutto i francesi) hanno investito nella filiera e negli standard di qualità in base alle quali queste operano. Quindi non intendono rinunciarvi solo perché PETA dice che è giusto farlo. Per molti, oltretutto, dalle vendite di articoli in rettile o cocco deriva una fetta troppo interessante di fatturato per rinunciarvi. C’è pure una notizia negativa, però. Perché nell’opinione pubblica una quota vegana c’è. E, quindi, c’è pure chi è ben disposto all’idea di assecondarla, anche sul tema delle esotiche. L’effetto si vede nel panorama dei brand, dove si registrano fin qui le defezioni di Chanel, Mulberry e PVH, e in quello del retail.

 

 

Una battaglia di civiltà

Ci sono almeno due motivi per i quali vale la pena auspicare che questo “effetto domino” non si inneschi mai. E che il ruolo delle pelli esotiche nell’alta moda rimanga intatto. Il primo è che cadrebbe un altro argine simbolico, il secondo per di più. I vegani militanti lo dicono chiaramente: dal loro punto di vista, in soldoni, nessuna attività umana deve interferire con il regno animale. Abbattuto il totem della pelliccia, se avessero anche lo scalpo delle esotiche potrebbero poi concentrare le forze sulle pelli bovine e ovicaprine (che, d’altronde, hanno già nel mirino). Il secondo è di natura ambientale.

Cos’è davvero green

Già, perché l’argomento forte degli antagonisti è che la rinuncia delle pelli esotiche sarebbe un vantaggio in termini di impatto ambientale. Be’, è un presupposto tutto da dimostrare. Innanzitutto, perché la filiera delle griffe rispetta principi etici e regolamenti, come spiegano anche i partner della cooperazione internazionale, in grado di aiutare la conservazione delle stesse specie animali che impiegano e del loro habitat naturale. E perché, poi, le soluzioni caldeggiate dai vegani sono le solite “alternative bio-based”. Che fin qui basano la propria popolarità sulla famosa “matrice vegetale”. Ma che in fase di industrializzazione prevedono l’ampio ricorso a prodotti sintetici che, come dimostrano lo studio FILK e i primi risultati dell’indagine Ars Tinctoria – CNR-INO, ne inficiano qualsiasi pretesa di superiorità green.

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