La sfida di Bruxelles al greenwashing solleva dubbi e perplessità

La sfida di Bruxelles al greenwashing solleva dubbi e perplessità

Lotta dura al greenwashing. A lanciare il guanto di sfida è l’Unione Europea, ma (per ora) senza stabilire un regolamento tecnico comune, rischiando di alimentare confusione. Mercoledì scorso (22 marzo 2023), la Commissione europea ha pubblicato una bozza di nuove regole con l’obiettivo di eliminare (o quanto meno ridurre) il greenwashing che affligge una vasta serie di merceologie di prodotto, moda e cosmesi incluse. Il Commissario Europeo per l’ambiente, Virginijus Sinkevicius, si attende che i negoziati per arrivare a un testo definitivo siano completati in modo che la legge possa entrare in vigore nel 2024. Ma i dubbi sono molti, a partire da quelli di Cotance e CEC, le confederazioni europee della concia e della calzatura.

La sfida di Bruxelles

Bruxelles parte dal presupposto che, secondo uno studio del 2020 firmato dalla Commissione, oltre il 50% dei claim green all’interno della UE “è vago, confuso o infondato”. Così, nella bozza composta da 80 pagine, l’UE traccia alcune linee guida per risolvere la gravità di questa situazione. Per esempio: qualsiasi affermazione green va comprovata da prove certificate da enti terzi. Poi, dovrà essere preso in considerazione l’intero ciclo di vita di un prodotto e sono vietate le etichette “autocertificate“. Ancora: i marchi dovranno indicare quanto fanno affidamento sulle compensazioni di carbonio e in che modo le utilizzano. Le sanzioni non sono state ancora ben definite, ma potrebbero valere almeno il 4% del fatturato annuo che il marchio realizza nel Paese in cui si è reso colpevole di marketing ingannevole.

 

 

Dubbi e perplessità

La sfida UE è stata accolta in modo a dir poco timido. Soprattutto perché resta troppo vaga su come, tecnicamente, i marchi dovrebbero comprovare le proprie affermazioni green. Per esempio: Bruxelles non individua e indica standard coerenti e omogenei. “Si corre davvero il rischio che le cose diventino molto, molto confuse”, afferma a Business of Fashion George Harding-Rolls (Changing Markets Foundation). “Lo stesso prodotto potrebbe essere valutato utilizzando due metodologie differenti, che darebbero risultati completamente diversi”, sostiene Margaux Le Gallou (Environmental Standards Coalition), a Fashion Network. Più in generale, le linee guida generiche della bozza UE lasciano libertà alle aziende di scegliere le metodologie che desiderano. Inoltre, le regole differiscono da mercato a mercato. Si ricade, dunque, nel territorio di quella dannosa misurazione non condivisa a cui abbiamo dedicato l’ultimo numero del nostro mensile. Dubbi e perplessità arrivano anche da Cotance e CEC, che intravede il pericolo di una scappatoia per chi vende online facendo base fuori dai confini UE. Più che una sfida, dunque, quella al greenwashing sembra una guerra contro i mulini a vento. (mv)

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