Nel marasma del greenwashing, la proposta sostenibile di Regenesi

La proposta sostenibile di Regenesi si staglia nel marasma del greenwashing. Maria Silvia Pazzi ha fondato il marchio nel 2008 con lo scopo di trasformare le materie prime inutilizzate in oggetti di design e accessori moda. Da realizzare, a proposito di qualità, con la manifattura made in Italy. Lo sviluppo dell'azienda, che ha il quartier generale a Ravenna, deve molto alla pelle: dalla collezione File bag del 2016 alla collaborazione con Dainese avviata nello stesso anno. Abbiamo incontrato Maria Silvia Pazzi (nella foto) per saperne di più. La proposta sostenibile di Regenesi Come valuta il mondo della sostenibilità oggi? È evidente che c'è molta più sensibilità rispetto al 2008. Allora predicavamo nel deserto. Ora invece c'è grande attenzione su questi temi. È in atto un cambiamento che, però, va aiutato. C'è molta strada da fare così come c'è ancora molta fuffa. Paradossalmente però oggi per voi è più difficile comunicare... È vero che, nel marasma del greenwashing, è difficile comunicare per chi come noi fa vera sostenibilità. Però devo dire che dal 2008 ci siamo guadagnati una certa reputazione. Inoltre, oggi posso usare dei termini che fino a 2-3 anni fa non potevo utilizzare perché non sarei stata compresa. E chi è Regenesi oggi? Sta facendo la sua strada, nel suo piccolo. Sta curando anche la sostenibilità sociale. Ne è un esempio l'iniziativa Re-flag a sostegno delle donne iraniane. Ma come sta andando l'azienda? Siamo contenti di tutte le nostre aree di business. Della distribuzione dei prodotti, che possono essere acquistati online e nei temporary shop che aprono in tutta Europa. E delle altre aree, che sono co-branding, consulenza e collaborazioni. Le richieste non mancano e noi le valutiamo con attenzione. Per crescere ricorrerete alla finanza? Stiamo valutando. Potrebbe essere un booster anche per la start up Regenesi Tech che, mediante una tecnica brevettata, recupera rifiuti tessili ricavandone una materia prima seconda. Dove effettua la produzione Regenesi? È affidata a laboratori esterni che lavorano secondo i nostri criteri. Tutto made in Italy. Facciamo una grande ricerca e li selezioniamo accuratamente. In tutto questo qual è il ruolo della pelle? Ha un ruolo storicamente importante per noi. Fin dal 2016, quando abbiamo lanciato su Kickstarter la campagna crowdfunding File bag con borse realizzate con gli scarti di pelle conciata al vegetale. Poi colorati con farina di castagne. Ma anche attualmente gli articoli continuativi sono in pelle di scarto. Quindi per voi è un materiale sostenibile... In linea di massima trasforma e valorizza un rifiuto. Tutto deve avere un equilibrio però. Ma certo non posso sentire che un materiale sostenibile è la pelle vegana (dicitura proibita dal Decreto Pelle, ndr), che è PVC, quindi plastica. Quali sono le vostre prospettive? Il nostro obiettivo è pulire il mondo. (mv)

La proposta sostenibile di Regenesi si staglia nel marasma del greenwashing. Maria Silvia Pazzi ha fondato il marchio nel 2008 con lo scopo di trasformare le materie prime inutilizzate in oggetti di design e accessori moda. Da realizzare, a proposito di qualità, con la manifattura made in Italy. Lo sviluppo dell’azienda, che ha il quartier…

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