Stampa italiana, sei rimasta sola: abbandona il mito vegano

Stampa italiana, sei rimasta sola: abbandona il mito vegano

Parte del nostro lavoro è leggere i giornali, nazionali e internazionali. E vi possiamo assicurare che ogni giorno la stampa italiana ci regala almeno un articolo dove compare una dicitura del tipo “pelle vegana”, “ecopelle” et similia per definire i materiali alternativi alla pelle. E ciò in spregio non solo al buon senso, ma anche a quanto indica la legge italiana con il cosiddetto Decreto Pelle. Ecco, fino a poco fa i media esteri non facevano eccezione. Invece da alcuni mesi notiamo una netta inversione di tendenza: le grandi testate anglofone (qualche esempio? Business of Fashion, Washington Post e, da ultimo, Guardian) stanno affilando gli strumenti della critica per affrontare il tema della sostenibilità dei materiali per la moda e il design. È ora che si dia una svegliata anche la stampa italiana.

Cosa c’è che non funziona

Ci sono dentro praticamente tutti i giornali italiani (grandi e piccoli, cartacei e online, tradizionali e di recente fondazione), fatte salve rare eccezioni come il Foglio. In rassegna stampa si trovano i vari vegan leather (sic!) in due tipi di articoli. I più diffusi sono i cosiddetti “publiredazionali”, cioè le inserzioni pubblicitarie scritte nella forma di un articolo di cronaca. In questo caso le redazioni hanno un atteggiamento passivo: l’inserzionista consegna il suo testo, nel quale per ragioni di strumentalità commerciale fa leva sul (presunto) valore green dei materiali alternativi, e la testata lo pubblica (come da contratto). Il secondo caso è anche peggiore. Si tratta di articolesse di sincero entusiasmo dove il redattore, facendosi portare al largo dall’esca delle etichette accattivanti, prende per buone le tesi dei produttori di alternative vegane. E le riscrive senza farsi una domanda in più.

 

 

Il vento sta cambiando

La stampa internazionale non è stata (e non lo è ancora del tutto) immune a queste leggerezze. Ma sulla stampa internazionale, dicevamo, il vento sta cambiando. Gli articoli e gli approfondimenti in cui si rimette in discussione questa presunta (ribadiamo) superiorità sostenibile dei materiali alternativi aumentano. Le redazioni hanno preso atto che i cosiddetti tessuti plant-based sono solo in minima parte vegetali: rimangono per la maggiore parte a base di polimeri plastici, come dimostrano plurimi studi scientifici. Le stesse redazioni hanno compreso che un materiale, per essere green, deve rispondere anche a standard di efficienza e durabilità che al momento la pelle garantisce, le alternative ancora no. Le redazioni internazionali, come quella del Guardian, hanno compreso che non vale la pena gettare via la funzione circolare della concia per tirare l’acritica volata a semplici startup. È ora che lo stesso passo intellettuale lo compia anche la stampa italiana.

Foto da Associazione Stampa Estera

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